lunedì 28 gennaio 2013

un mondo maledetto fatto di bambole


Del Regista Michael Campus non so praticamente nulla, pochissime fonti, pochi film diretti (a quanto mi risulta) ma scarso impegno, da parte mia, nel fare una vera e propria ricerca.
Degli attori, invece, si può parlare parecchio. Oliver Reed cominciò appena ventenne e lungo la sua carriera di attore ebbe modo di partecipare a parecchie importanti (e/o belle) pellicole come Il mostro di Londra, L'implaccabile condanna, I diavoli, Tommy e Brood - La covata malefica. Ken Russel (Donne in amore, I diavoli, Tommy, Stati di allucinazione, Valentino, Gothic e altri), lo volle in molti suoi film e questo lo rese popolare. Il suo modo di recitare, molto (troppo) controllato, lo rese un perfetto interprete di un certo tipo di personaggi, come quello di Russ in questa pellicola.
Geraldine Chaplin, invece, è semplicemente la figlia (una di tanti, forse dieci) del leggendario Charlie Chaplin (un Dio del cinema che rende lei una semidea). Ma come se non bastasse, lei è pure molto, molto, brava. Esordì con il padre in Luci della ribalta e partecipò a film del calibro di Il dottor Zivago, I tre moschettieri (proprio con Oliver Reed), Nashville (di Altman) e L'età dell'innocenza (di Scorsese). La sua lunghissima carriera non si è, praticamente, mai interrotta. La sua ultima interpretazione è del 2012. Niente male.
Ma torniamo a questo film di genere fantascientifico made in England.
Z.P.G. (Zero Population Growth - Zero Crescita della popolazione) è uno strano film, a dire il vero. Tradotto in Italia con Un mondo maledetto fatto di bambole (intrigante!), rientra pienamente in quella categoria di titoli costruiti ad hoc in quegli anni. Non solo il titolo, ma anche la trama è perfettamente in linea con la fantascienza che veniva prodotta allora (citazioni orwelliane comprese). Insomma, fossimo stati dei ragazzi a metà degli anni '70, questo sarebbe esattamente il film che ci saremmo aspettati. Ma non è proprio così.
Sin dalle prime battute ci ritroviamo in un modo particolare e cupo. Una nazione altamente inquinata dallo smog e controllata da un governo totalitario. Tutto quel fumo, in realtà, non è altro che uno stratagemma per risparmiare sulla scenografia. A momenti non si vedono neppure i personaggi. Nonostante tutto è un effetto riuscito e contribuisce a rendere ancora più deprimente, un'atmosfera già cupa di suo.
La storia comincia con un diktat preciso e categorico: l'aumento della popolazione è a limite sopportazione. Sono bandite le gravidanze. Nessun essere umano può concepire più un bambino. I bambini nati prima di questa nuova legge, devono essere condotti in una sorta di ufficio anagrafico. Ogni trasgressione verrà punita con la morte di genitori e prole.
La città è assediata da particolari aeromobili in grado di muoversi lentamente al di sopra delle teste dei cittadini. Questi aeromobili fungono anche da altoparlanti da cui una voce snocciola dati statistici e ricorda i regolamenti. La stessa voce petulante è una costante durante tutto il film ed è presente all'interno di ogni struttura della città, tranne nelle abitazioni private, che tutto sommato restano luogo di sicura privacy. Privacy che viene a mancare nell'abitazione dei protagonisti nel momento in cui svolgono il loro lavoro di "attori" mettendo in scena, per la gioia dei visitatori, la vita quotidiana degli anni '70 a Londra. Tutto ciò che era la realtà di quegli anni era diventato oggetto di critica nel futuro raccontato nel film.
La storia, dunque, comincia all'interno di una sorta di centro commerciale dove una fila infinita di giovani coppie attendono il loro turno per acquistare un surrogato meccanico di bambino. Un bambolotto, insomma. Un bambolotto che dice: I love you, mommy. Un incubo. L'insoddisfazione e la frustrazione delle donne è palese, le leggi rigide non permettono nessun colpo di testa. I dottori, un po' medici generici e un po' psicologi spioni, hanno il loro bel da fare per tenere a bada la loro voglia di maternità, mentre gli uomini sembrano avulsi da ogni genere di emozione paterna. Emerge palese e, pare, accettato da tutti, lo scambio di coppia.
Il film viaggia lento, sviluppandosi lungo la quotidianità di Russ e Carol, spenti, monocorde e apatici. Per le strade tutti i personaggi si muovono come fossero degli zombie. I rapporti sociali, che non vengono minimamente intaccati dalla nuova legge, sono comunque ridotti al minimo. È come se l'assenza di bambini veri abbia ucciso la vitalità di tutte le persone e nonostante l'inquietudine dei personaggi (almeno quelli femminili) cresca in ogni momento, il ritmo del film pare non giovarne affatto.
A un tratto, però, il film prende quota, proprio nel momento in cui i protagonisti e i loro amici (un'altra coppia) sono costretti a interagire pesantemente facendo leva proprio su quei rapporti umani fino a quel momento relegati a puro optional. Gli animi si accendono e si esasperano. Tutto viene portato all'estremo e calpestato.
Uno strano film, insomma. Badget minimo ma ben utilizzato. Ottime le interpretazioni (se è quello che voleva il regista, quest'apatia, è perfettamente rappresentata), specialmente quelle femminili. La Chaplin è al di sopra di tutti. Bellissima e bravissima. Peccato per le bambole tenute un po' ai margini della storia.

Un mondo maledetto fatto di bambole di Michael Campus
Gran Bretagna, USA, 1972
con Oliver Reed, Geraldine Chaplin, Diane Cilento.

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