sabato 29 dicembre 2012

qualcuno con cui correre


La mia ignoranza è immensa e mi fa brutti scherzi. Chissà cosa pensavo di trovarci, nel cinema israeliano. Ora lo so: è cinema, come nel resto del mondo e merita di essere visto.
Tratto dall'omonimo romanzo scritto da Grossman David, Qualcuno con cui correre è prima di tutto un romanzo coinvolgente di un autore che ormai viene letto e apprezzato in tutto il mondo.
Nel 2006, infine, è diventato un film per la regia di Oded Davidoff e interpretato dalla bella e giovane Bar Belfer, alla sua prima e unica prova. Subito dopo, infatti, è stata "costretta" a svolgere il servizio militare dove è rimasta coinvolta in un incidente stradale che l'ha quasi uccisa.
Grazie a un montaggio a doppia trama, vediamo contemporaneamente le vicissitudini di due adolescenti prima che s'incontrino.
Assaf  è un ragazzo che nel periodo estivo guadagna qualche soldo presso il Canile di Gerusalemme. Deve riportare Dinka, un bellissimo Labrador, alla sua padrona che lo ha smarrito. Lei è Tamar (Tamara, mi pare, nel doppiaggio italiano), un'artista di strada, una musicista e cantante dalla voce angelica, che sta cercando a sua volta un ragazzo, Shay, che è scomparso. Il doppio montaggio, dunque, ci mostra le vicende di Tamar e Dinka, alla ricerca di Shay, avvenute otto mesi prima, e quelle di Assaf e Dinka alla ricerca di Tamar, avvenute quando anche Tamar risulterà scomparsa.
Elemento comune, dunque, oltre la ricerca stessa, è la bellissima Dinka, cane affettuoso, intelligente che va sempre di corsa. Tutto il film è una lunga corsa contro il tempo, prima le cose si mettano male per davvero, prima che Pesach possa far del male anche a Tamar e prima che la polizia possa intervenire.

Qualcuno con cui correre di Oded Davidoff
Israele, 2006
con Bar Belfer, Yonatan Bar-Or, Yval Mendelson.

lunedì 17 dicembre 2012

stati di allucinazione


Questo film è tutto un casino, il regista è un pazzo testardo che ha voluto a tutti i costi snaturare il romanzo da cui è tratto, il finale è buttato li ma in compenso c'è Drew Barrymore.
Ecco, questo è quello che dicono di Stati di Allucinazione, in sintesi (faccio polemica).
Secondo me parla della ricerca dell'assoluto, della verità più grande, di Dio forse. Secondo me parla di chi cercando qualcosa di troppo grande finisce per capire l'amore. Si, parla di questo.
Lo scienziato John Lilly (1915-2001) pensa che ogni nostra convinzione sia solo un limite. Noi usiamo soltanto una piccola parte del nostro cervello che in realtà non ha limiti. Bisogna soltanto aprire la coscienza a questo concetto. Bisogna superare i limiti.
Negli anni '50 allora comincia certi studi che lo portano a inventare la vasca di deprivazione sensoriale dove lui stesso si immerge dopo aver assunto LSD e Ketamina. Lo scopo è quello di esplorare la coscienza umana, ma presto deve abbandonare gli studi perché troppo pericolosi.
Questi esperimenti sono d'ispirazione allo scrittore Paddy Chayefsky che scrive e pubblica il suo unico romanzo Stati di allucinazione nel 1978. Il romanzo non può non attirare l'attenzione di Hollywood, così la Columbia gli affida la sceneggiatura. Chayefsky ha le idee molto chiare su quello che deve raccontare il film e non ha intenzione di scendere a patti col regista e la produzione che alla fine lasciano il progetto. La Warner, subentrando, chiama a dirigere la pellicola Ken Russel (I diavoli, Tommy) che costringe lo sceneggiatore a mettersi quasi da parte tanto che alla fine Chayefsky si firmerà con lo pseudonimo Sidney Aaron.
Nel 1980 esce il film Stati di allucinazione dove il ricercatore Eddie (William Hurt) ricrea gli esperimenti fatti nella realtà da Lilly. Eddie è un uomo con una moglie e una bambina (la Berrymore) che praticamente da per scontate. Da piccolo perde suo padre e la fede. Lui vive per le sue ricerche, vive nella ricerca della verità più assoluta ed è disposto a mettere in pericolo se stesso, pur di farlo. Specialmente quando scopre, dopo aver partecipato a un rito in Messico, che certe sostanze contribuiscono a superare i limiti delle sue convinzioni. Assume farmaci pesanti e si immerge nella vasca di deprivazione sensoriale per escludere ogni elemento di distrazione ed esplorare la sua coscienza, per arrivare fino all'essenza di quella verità che forse è Dio, forse è l'amore. Prima le sue allucinazioni sono contaminate dal suo passato vissuto e dalla sua perdita della fede, ma pian piano tutto si dissolve fino ad arrivare al nocciolo della vita, ai primordi. Infine va oltre a tutto permettendo che le allucinazioni diventino reali e mettendo in pericolo non solo se stesso ma sua moglie. Ma questo non lo può permettere.

Stati di allucinazione di Ken Russel
Usa, 1980
con WIlliam Hurt, Blair Brown, Drew Berrymore

giovedì 29 novembre 2012

tutti defunti... tranne i morti


Nel 1976 firma il capolavoro assoluto La casa dalle finestre che ridono, un anno dopo, invece, questo. Quantomeno curioso, visto che si tratta di una parodia della parodia, proprio di quel genere che lo ha reso immortale nella memoria degli amanti del thriller all'italiana, in tutto il mondo.
Ancora più curioso è che Pupi Avati lo faccia con la stessa ghenga di sceneggiatori (Antonio Avati, Gianni Cavina, Maurizio Costanzo) e con quasi gli stessi attori. Premeditato, direi.
Mi fa una rabbia! Avrei voluto vedere Avati solo ed esclusivamente in quel genere, invece no. Lui spazia. Lui fa un po' di tutto. E non lo fa neppure male.
Tra l'altro cita tante di quelle cose, che ogni volta che vedo Tutti defunti... tranne i morti, me ne ritrovo davanti delle altre. Prima di tutto Dieci piccoli indiani di Agatha Christie (portato sul grande schermo per la prima volta da Rene Clair nel 1945) e poi Invito a cena con delitto (ne parlerò, prima o poi), di Robert Moore che già era una parodia del genere. Senza contare che spesso ti sembra di vedere quei film con Alvaro Vitali (per quanto riguarda certe battute) o quelli con Stanlio e Ollio (per certe dinamiche) o addirittura quelli con Bombolo (per certi ceffoni). Forse ci ho visto anche Franco e Ciccio. Non so. La prossima volta controllo. Comunque.
Un film che di sicuro non ti saresti aspettato, e invece eccolo servito. Col delitto. Già.
Perché comunque si tratta di un giallo, c'è poco da dire. Un vero giallo ambientato in un castello dove il ricco proprietario muore e tutti i parenti (i quali ereditano il decadimento della nobiltà) arrivano per dargli sepoltura. Una famiglia grottesca, tra l'altro. A questi si aggiunge un fesso (Carlo Delle Piane visto in Guardie e Ladri con Totò, Un americano a Roma con Alberto Sordi e in tantissimi altri film) che vorrebbe semplicemente vender loro un libro e che si ritrova, suo malgrado, sedotto dalla bellissima Ilaria (Francesca Marciano), vittima di strani incidenti e di clamorose aggressioni, senza contare che tutto sembra partire proprio dal libro che lui sta cercando di vendere. Follia vera.
Come se non bastasse arriva un altro idiota (Gianni Cavina), l'investigatore privato che non capisce, ma non vuole essere aiutato perché lui è serio e ci vuole arrivare da solo. Infatti ha cominciato a fare questo lavoro da bambino. Siamo al completo.
Guardalo perché altrimenti sembra che ti stia prendendo in giro. Guardalo.

Tutti defunti... tranne i morti di Pupi Avati
Italia, 1977
con Carlo Delle Piane, Gianni Cavina, Francesca Marciano

venerdì 9 novembre 2012

zatoichi


Quest'anno, alla 69° mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia è stato presentato in concorso Outrage Beyond, sequel dell'ottimo Outrage del 2010, che io ho visto lo scorso anno. Bello davvero.
Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quando ho conosciuto Kitano con Sonatine (film del 1993 che, ahimè, ho visto dieci anni più tardi).
Takeshi Kitano, il camaleonte, riesce sempre a cambiare pelle e facendolo arriva un po' da per tutto. Come per le sue capacità artistiche: regista, sceneggiatore, attore, montatore, scrittore, pittore, presentatore televisivo e autore televisivo.
Per gli amanti del regista appare quasi come una bestemmia, ma ti ricordi Mai dire Banzai? ecco, lo ha creato lui e lo presentava pure.
Ha fatto qualunque cosa e quasi tutti i generi cinematografici, arrivando addirittura a ripudiare una sua creatura, il comico Getting Any? (ne parla come di un suicidio per la carriera), ma poi, come al solito si è ripreso e lo ha fatto alla grande.
Si è trasformato anche dopo l'incidente in moto che lo ha costretto a una delicata ricostruzione facciale e nonostante tutto si è trasformato in meglio, visto che quell'espressione che ha assunto da allora è un marchio indelebile per i personaggi che interpreta. E altamente caratteristico è Zatoichi.
Dopo Sonatine, ho cominciato a cercare tutti i suoi film, fino a quando non ho incontrato chi, amandolo alla follia, aveva tutta l'opera completa.
Ho potuto constatare dunque, quanto sappia cambiare, Kitano. Ma, allo stesso tempo, quanto ami le basi solide. I tormentoni. I film sul genere Yakuza story, per esempio, l'ossessione per il mare e le tantissime scene girate in spiaggia (come mi fece notare qualcuno).
E poi, di punto in bianco, dopo averlo deriso in Getting Any?, riprende in mano Zatoichi, un personaggio televisivo giapponese e cambia ancora una volta. Il suo primo film in costume.
Da non confondersi con Ichi the killer di quell'altro genio Takashi Miike (ne parlerò sicuramente sia del film che di Miike e di altre pellicole), tratto dall'omonimo manga di Hideo Yamamoto, Zatoichi parla, invece, di un periodo storico molto importante, in Giappone, quello dei samurai e lo interpreta a modo suo, naturalmente. Altrimenti non sarebbe Kitano.
Nel 1989 Phillip Noyce (Ore 10: calma piatta, Giochi di potere, Sliver, Il collezionista di ossa) dirige Furia Cieca, direttamente ispirato alla serie televisiva, dove un uomo (Rutger Hauer) torna dal Vietnam e, completamente cieco, si rivela abilissimo nell'uso della spada.
Takeshi Kitano, invece, prende il mito e lo reinterpreta, ponendo in primo piano non tanto la vendetta in sé stessa, ma tutti i concetti base del genere Jidai-geki (quello dei samurai, insomma), che sono il vagare, l'onore, l'altruismo e la spada usata magistralmente quasi ed esclusivamente per difendere e mai per offendere. Ma lo fa a modo suo perché poi inserisce ritmi comici e scene che sanno di altri generi. Inserisce macchiette alla maniera di Cinecittà nel periodo d'oro, ma lo fa perché appartiene alla sua, di cultura, visto che Kitano ha cominciato proprio come cabarettista in un locale di spogliarelliste.
Zatoichi è un guerriero cieco (forse non lo è ma gli occhi non lo aiuterebbero a vedere meglio), ha la katana nascosta nel bastone e vive vagabondo tra il gioco d'azzardo e i massaggi. Arrivato in un piccolo paese incrocia la strada di due ragazze sopravvissute allo sterminio della propria famiglia.
Vederlo combattere è spettacolare, vederlo divertirsi è un piacere perché se lo merita.

Zatoichi di Takeshi Kitano
Giappone, 2003
con Takeshi Kitano 

giovedì 8 novembre 2012

radio punx


"Eh certo!", mi dirai, "fai una rece perché li conosci, quei due!".
Eh no, caro tu. A parte che non faccio mai rece, perché non ci riesco. Non sono un critico, conosco solo quello che conosco (davvero poco) e quindi non posso fare grandi paragoni. Parlo solo di cose che mi colpiscono e lo faccio a favore di quelli come me. Quelli come me sono persone che non badano molto alle vere recensioni, ma spesso seguono i consigli per gli acquisti fradici di sentimenti. Quelli fatti un po' così, ma con passione. Quale rece!
Comunque, io Radio Punx l'ho visto nascere e non me ne sono accorto. Non parlo del fatto che ho visto le bozze, no, parlo di... come dire...
Andrea impegnato a calcare i palchi col suo gruppo, i problemi di coppia e le sortite al cinema per non pensarci.
Tutte cose che ritrovo poi nel libro Radio Punx. E solo ora me ne accorgo. Ricollego tutto e sorrido.
Perché Radio Punx non è solo un fumetto che racconta una bella storia ambientata nei mesi tra i '70 e gli '80. Non racconta soltanto di quel periodo storico e culturale. Di quella musica live e di quelle radio libere. Radio Punx trasuda vita vera e lo fa con quel pudore di chi quella vita se la vive ogni giorno sulla pelle e poi la racconta. Con garbo e rabbia, perché le ferite son fresche e le gioie si ha paura che svaniscano in fretta. E Andrea, poi, la racconta bene perché è bravo, mica cavoletti. E ancora più bravo mi sembra quando penso a come scivola tra i generi e le chiavi tecniche. Dai romanzi per ragazzi (I rebels), a quelli per bambini (Geronimo Stilton), a Radio Punx, passando per altre cosucce che fa nei ritagli di tempo, sempre con impegno e cura. Mica facile. La sua passione è enorme e la sua voglia e tenacia ammirevoli. Questo è il risultato: Radio Punx!
Siamo a Milano e sono i mesi a cavallo tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. Stefano parla dal microfono di Radio Punx e sulle note dei Gaznevada facciamo la conoscenza di Lonzo e Pico alle prese con il furto delle chitarre dei Pooh! Bellissima!
I ragazzi stanno mettendo su un gruppo ma i loro mezzi son davvero miseri, verranno aiutati da Raniero (bassista), Elisa (batterista) e Maria Memori della Memori dischi, ma ognuno ha i suoi modi. I suoi piani.
La vicenda si sviluppa e si complica sempre di più entrando in un tunnel da cui è impossibile uscire. E lo fa con un ritmo pazzesco che ti porta a leggere "quasiinapneacentopaginefinoallafine"!
E poi sollevi lo sguardo e ne vuoi ancora! Voglio il secondo volume, poche storie! Perché la storia è bella e i personaggi te li prendi a cuore tutti, nessuno escluso. Anche quelli stronzi, perché nessuno è del tutto cattivo o del tutto buono. Come nella realtà, insomma. Gli errori li commettiamo tutti, accidenti. Solo che alcuni riescono a fermarsi in tempo, o magari a pensarci due volte. Altri hanno soltanto culo, perché no. E comunque ognuno avrà quello che si merita, stanne pur certo.
I disegni sono del sempre più bravo Jean Claudio Vinci e penso proprio che il valore del libro sia da attribuire a entrambi in uguale percentuale. Anche perché i due ragazzi lavorano insieme da anni e l'affiatamento si vede eccome! E poi lo so, li vedo con i miei occhi tutti i giorni.

Vi consiglio di contattarli velocemente perché la tiratura è limitata e ne vale davvero la pena. A proposito, minacciateli: o disegno con dedica o niente acquisto! Verranno a patti, oh si che lo faranno!
Li trovate su facebook, e sul blog. Chi mi conosce, invece, può chiedere a me, farò da tramite molto volentieri.

Radio Punx di Andrea Pau e Jean Claudio Vinci
115 pp, 7,90 €
Sotto l'ala protettrice di Associazione Culturale Chine Vaganti


super pro: sulle strade di san francisco

Più di un anno fa, ormai, usciva una mia storia disegnata dalla bravissima Elena Grigoli, sul giornalino 44 gatti (Gaghi Editrice, Milano), la seconda dopo questa. Emmò te la mostro.
Peccato perché porta con sé una serie di problemi tutti ampiamente visibili. Il tempo scarseggiava, il soggetto era stato approvato da tempo, ma non sapevamo ancora quante tavole avesse dovuto avere (oscillavano dalle 6 alle 4). Alla fine sono arrivati i tagli drastici, l'editing frettoloso e non coordinato.
Peccato. Comunque ringrazio ancora una volta Daniele che mi ha permesso di usare il suo personaggio e senza particolari gabbie (l'unico vincolo era rappresentato dal fatto che la vicenda avrebbe dovuto svolgersi a San Francisco e lì ho pensato subito ad Altai & Jonson). E' sempre bello poter scrivere comunque in piena libertà e non è così normale che accada. Ora devo imparare a lavorare anche in condizioni precarie e in tempi ristrettissimi. A quanto pare non lo so fare!





martedì 6 novembre 2012

una questione d'onore


Un film dimenticato e passato quasi inosservato ai tempi dell'uscita nelle sale, perché il regista Luigi Zampa, ai tempi uno dei più importanti quasi al pari dei suoi colleghi neorealisti, aveva già diretto pellicole come Processo alla città, il poker sul fascismo Anni difficili, Anni facili, L'arte di arrangiarsi e Anni ruggenti. E commedie del calibro de Il medico della mutua e Bello, Onesto, Emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata.
Dimenticato e sottovalutato.
In realtà si tratta di un film ben scritto (a quattro mani), ben diretto e bene interpretato. Ugo Tognazzi
alle prese con la lingua sarda è uno spasso e una sorpresa.
Siamo in Sardegna, infatti, e sono gli anni sessanta. Un cartello, ancora prima dei titoli, ci avvisa che questo film vuole rendere giustizia all'isola, perché si fa presto a raccontare di cawboys dell'ovest America. Il Far West che si è sviluppato da queste parti non ha certo nulla da invidiare.
Beh, non me la sento di confermare questa tesi, ma... non sarò certo io a negarla.
Efisio Mulas (Tognazzi) lavora in una miniera di sale (l'inferno, si) e cerca di guadagnare il più possibile per riuscire a pagarsi la prostituta del paese che in realtà, a lui, pare proprio non voglia concedersi.
In realtà la back story è complessa (nel linguaggio degli sceneggiatori cinematografici è la vita di un personaggio fino al punto in cui lo vediamo effettivamente nel film). Il giovane Mulas è tutto sommato un bel ragazzo ambito dalle molte giovani del paese. La più bruttina, per farsi notare, gli spacca un oggetto sulla nuca, ferendolo gravemente. Al processo lei dice di essere stata disonorata, ma alla scoperta che lui in realtà non ha mai avuto rapporti sessuali, viene spedita in galera. Da qui tutta la questione di onore di cui il film è farcito.
Domenicangela Piras, la ragazza bruttina (la stupenda Nicoletta Machiavelli) non può accettare di essere stata rifiutata nonostante sia stata lei, a modo suo, a dichiararsi. I fratelli di lei non possono accettare una sorella disonorata e pretendono che lui la sposi. Lui non può accettare di essere ancora vergine e per questo deve porre rimedio quanto prima facendo ricorso alla prostituta che minacciata dai fratelli Piras non si concederà mai. E siamo all'inizio.
Efisio non demorde e svolge qualunque lavoro, pur di guadagnare soldi (e per la prostituta e per sua madre vedova, con la quale vive). Efisio è una persona onesta, ma gli eventi, come spesso capitava, lo portano a percorrere una strada tortuosa.
Domenicangela esce dal carcere profondamente mutata, nell'aspetto (ora è bellissima) e nell'atteggiamento (decide che Efisio non la merita e aspetterà che sia lui a farle la corte), ma alla fine Efisio, in modo rocambolesco, riesce a far breccia nel suo cuore. Ora deve soltanto chiedere la mano di lei a suo padre e potrà sposarla. Mica facile. Liberato Piras è un latitante che vive in Supramonte. Ma questo non è il vero problema. Arrivare in quei nascondigli, se i banditi permettessero, non sarebbe un grosso problema. Il problema è arrivarci, semmai. Vivo, preferibilmente. Ma lui viene accompagnato dai fratelli al completo. Il problema vero è convincere Liberato Piras di essere l'uomo giusto per Domenicangela, ecco cosa. Dimostrare di essere un uomo. E c'era soltanto un modo, in quegli anni, in quei luoghi, per dimostrarlo.
No, non esagerare. Nessun assassinio. Anche se...
Efisio deve rubare una pecora, tutto qua. Ma lui vuole dimostrare di essere un uomo con le palle e decide di rubarne due, tre, quattro. Cinque! A quei tempi, però, la questione dell'onore era una cosa seria e chi prima, chi dopo, coinvolgeva tutti.
In paese, nel mentre, una faida fra due famiglie, aveva da tempo sconfinato negli omicidi. Per farla semplice (ma non era affatto una cosa semplice né da ridere) funzionava così: Io uccido te che hai ucciso mio fratello (vedi le storie dei più famosi banditi sardi) e siamo pari. La tua famiglia, se non è d'accordo, può farmi ammazzare da un fratello e se io sono già morto o magari latitante ucciderà mio fratello o mio figlio e così via senza soluzione di continuità.
Ecco. Efisio, durante il furto, si ritrova proprio nel mezzo della faida e con alle spalle un cadavere (uno delle due famiglie in guerra) ucciso in realtà da qualcun altro esterno alle varie vicende. Cioè, chi avrebbe dovuto compiere il delitto non aveva nessuna intenzione di farlo, ma avendo già a disposizione un cadavere può dire alla propria famiglia (l'onore) di esserne il responsabile ma alla famiglia avversaria (la paura) di aver visto Efisio compiere l'assassinio. È un po' complicato, ma vedrai che te lo spiego.
Ignaro di tutto, Efisio, può finalmente sposarsi con la bella Domenicangela, ma un pezzetto del suo pantalone viene ritrovato dai Carabinieri (tutti originari di altre parti d'Italia, come di consueto, e per questo impossibilitati a muoversi nei modi più indicati. Spesso facevano ancor più danni, infatti) che lo arresta proprio nel momento in cui i due, finalmente, stanno per consumare...
A questo punto, la trama già ingarbugliata, si complica di brutto. E torna, come un'ossessione, la questione dell'onore: meglio passare per un assassino e continuare a star lontano dalla propria moglie o lasciar credere di essere cornuto?
Il finale è quanto di più grottesco e drammatico visto in una commedia. Tognazzi chiude con una prova d'attore maiuscola e gli sceneggiatori dimostrano grande sensibilità cercando di non prendere superficiali posizioni su un argomento complesso e serio come questo, riferito a quel preciso periodo storico.
Musiche dell'argentino Luis Bacalov (Il Vangelo secondo Matteo, Django, Milano calibro 9, Il postino), uno dei compositori più amati da Tarantino, ed eseguite da Bruno Nicolai (I giorni della Violenza, Il pelo nel mondo, Kiss Kiss... Bang Bang, Conte Dracula, La notte che Evelyn uscì dalla tomba e tanti altri capolavori).

Una questione d'onore di Luigi Zampa
Italia, Francia 1965
con Ugo Tognazzi, Nicoletta Machiavelli

le storie della mia incredibile vita #1


se vuoi leggere dall'inizio clicca nel menù in alto sulla voce 
Le storie della mia incredibile vita (racconto)




Quando nacqui centrocampista

Nel 1974
Richard Nixon rifiutò di collaborare con il comitato d'indagine del Senato sullo Scandalo Watergate.
La serie Happy Days debuttò sulla ABC.
In Italia si diffuse il timore di un golpe dopo che il ministro della Difesa comandò lo stato d'allarme attivo per tutte le caserme del Paese.
Iniziò il processo per la strage di Piazza Fontana.
Nixon, alla fine, ebbe il buon gusto di dimettersi.
Venne scoperta Leda, una luna di Giove.
Iniziarono le trasmissioni di Telemilano di proprietà di Silvio Berlusconi.
La Fiat mise in cassa integrazione 65.000 operai.
Si svolse il primo convegno nazionale dei gruppi femministi.
Nacque ufficialmente la cultura Hip Hop.
Naque il IV governo Moro.
Tiziano Sclavi pubblicò Film, il suo primo vero romanzo.
Ancora, uscirono questi film:
Frankenstein Junior, Non aprite quella porta, Femmine in gabbia, Gola Profonda, La conversazione, Il fantasma del palcoscenico, Cani arrabbiati, Monty Python, Il giustiziere della notte, Baby killer, La leggenda dei sette vampiri d'oro, Voglio la testa di Garcia, L'uomo terminale, Diario segreto da un carcere femminile, Spasmo, Cinque donne per l'assassino, Lady snowblood 2.
Agli Oscar, invece, prevalsero questi film:
La stangata, L'esorcista, American Graffiti, Ultimo tango a Parigi, L'ultima corvè, Serpico, Effetto notte, Fratello sole sorella luna, Ludwig, Jesus Christ superstar.
Nello stesso anno vennero alla luce queste persone:
Tiffani Thiessen, Christian Bale, Robbie Williams, Sebastien Loeb, Romina Mondello, Eva Mendes, Laura Pausini, Damiano Tommasi, Leonardo DiCaprio, Alessandro Del Piero, Giovanna Mezzogiorno, Enrico Brizzi e infine, io.

Tutto ciò per ricordarti che questa storia si svolse in un periodo ben preciso e accertato. Non importa se ti potrà sembrare bizzarro, è il racconto della mia nascita ed è esattamente quello che accadde.
A quei tempi mio padre aveva appena 23 anni e mia madre due di meno. Due ragazzini che si prendevano cura già di una splendida bambina che in realtà non avrebbero dovuto avere, mentre un'altra la restituirono perché volevano un maschietto. Non mi sembri convinto. Bene, devo spiegarti tutto dall'inizio, allora.
Devi sapere che gli umani, prima di essere affidati alle loro famiglie, si trovano nelle isole di Bora Bora dove vengono selezionati. Non tutti, infatti, sono destinati alla nascita. È solo una questione attitudinale. Gli altri, semplicemente, diventano angeli. Tutto qui.
Capita, però, che a volte vengano commessi errori di valutazione e qualche angelo finisca tra gli umani. Niente di grave, comunque. Quando se ne accorgono, dall'isola, mandano un corriere fino a casa tua che esegue lo scambio con tante scuse dall'amministrazione. Beh, dai miei genitori non è mai arrivato nessun corriere. Mia sorella maggiore è un angelo ma nessuno se l'è venuta mai a prendere perché i miei hanno sempre tenuto un profilo basso proprio per non mettersi in mostra. Per restare anonimi e tenere la bambina che, nonostante tutto, era bellissima.
Ti chiederai qual'è la differenza tra un angelo e un umano. Gli angeli che per svariati motivi vivono tra noi, presentano alcune differenze sostanziali rispetto agli altri. Hanno qualche problema, insomma. Alcuni li chiamano genericamente malati. Oggi si usa il più politically correct, diversamente abili. E in effetti, loro, senza possibilità di scelta, hanno un'interpretazione della vita del tutto personale.
Sta di fatto che i miei genitori la tennero nascosta con la speranza che un giorno potesse perdere le qualità di angelo, ma anche se in qualche rara eccezione questo avviene, con lei non accadde mai.
Due anni dopo, quindi, nacque un'altra bambina e nonostante fossero molto felici decisero di permutarla. Questa, allora, era un'operazione poco conosciuta mentre oggi invece è molto in voga. Infatti c'erano famiglie numerosissime, composte anche da dieci, dodici, quindici persone.
I miei, dopo aver accolto con favore la bambina angelo, volevano fortemente un maschietto. Siccome avevano fatto la scelta della povertà, non avevano la capacità finanziaria di accudire più di due figli e per questo permutarono la seconda bambina. Ora, i bambini permutati diventano immediatamente angeli e così accadde a lei. Ma la famiglia che fa la permuta deve attendere che l'angelo s'innamori di un umano, prima di poter avere in cambio il bambino desiderato, e questa è una cosa rara. Sono pochi, infatti, gli angeli che s'innamorano, perché grazie alla loro condizione super partes riescono da subito a venire a conoscenza di tutti i nostri difetti e questo, per un essere  perfetto come un angelo, è inaccettabile.
Per una incredibile casualità, però, accadde che lei s'innamorasse ancora prima di accorgersene e questo diede il via a una catena di eventi che poi segnò per sempre la mia vita.
A quei tempi vivevo nelle isole di Bora Bora e come tanti ero in attesa di valutazione. Al primo esame mi fecero rivedibile perché a parer loro la mia era un'attitudine ancora in fase di sviluppo. Io sono sempre stato in ritardo su tutto. Comunque.
Nel test della farfalla (cioè quello in cui viene messa della tempera su un foglio di carta che poi viene piegato schiacciando il colore e ottenendo delle figure di farfalle) io ci vidi della tempera schiacciata. Nel test di Rorschach (quello in cui devi interpretare delle macchie solitamente nere) ci vidi delle macchie nere. Mentre nel test delle interpretazioni umane (quello in cui devi interpretare una persona mai vista osservandola per alcuni minuti) ci vidi una farfalla. Me lo fecero ripetere perché, mi dissero, avrei dovuto interpretarne il carattere, ma io ci vidi una dolce farfalla. Fui rimandato alla prossima valutazione.
Trascorsi molto tempo, a Bora Bora, e conobbi tanti bambini molti dei quali vennero affidati alle famiglie (perdendo così coscienza di quel periodo) e pochissimi divennero angeli in attesa di capire se si sarebbero mai innamorati di un umano per diventare poi il loro angelo custode.
Tra quei bambini c'era anche lei e trascorremmo insieme tanto di quel tempo che mi sembrò un'eternità. Era bellissima e a mio parere nessuno più di lei poteva essere un angelo. Ma poi venne assegnata a quella famiglia (allora non sapevo che sarebbe stata la mia) e quasi arrivai a odiare l'intera razza umana.
Per questo motivo venni convocato d'urgenza in amministrazione: solo un angelo era capace di tanto odio nei confronti degli umani, così stavano decidendo di conseguenza, ma io che a quel punto volevo assolutamente incontrare di nuovo quella splendida creatura decisi di imbrogliare sui test. Mi ritennero idoneo alla nascita e ancora una volta il caso ci si mise di mezzo. Divenni il bambino dello scambio.
Mi sistemarono nel tapis roulant e mi trasportarono nella sezione trasporti, in attesa che il corriere tornasse con la bambina permutata. Alla fine salii nell'ultimo tapis roulant per essere caricato sul vagone nascite e fu allora che la vidi. Lei tornava indietro e mi guardava sconvolta perché quando vieni permutato, poi, la memoria ritorna violenta a riempire gli spazi lasciati vuoti. Io, invece, cominciavo a dimenticare perché la vita, disonesta, stava iniziando.

Si, hai ragione. Questa storia non spiega perché nacqui centrocampista, ma non avevo nessuna intenzione di farlo. Prima o poi, forse, lo farò. Ma anche no, chissà.

domenica 4 novembre 2012

spasmo


Nel 1974, il grande Umberto Lenzi, firma Spasmo, un film definito a volte di genere drammatico, a volte giallo o noir. In effetti è un po' tutto questo. Se vuoi ha pure delle sfumature horror, come di consuetudine per quel genere di film che uscirono in quel periodo.
Christian, il personaggio principale, si ritrova a inseguire una misteriosa ragazza che lo catapulta all'interno di una situazione incomprensibile. Viene aggredito a più riprese, così che lui pensa sia il fratello, a volerlo morto. Da piccoli, i due, hanno perso entrambi i genitori in modo terrificante. Fritz, il fratello, scopre che entrambi sono affetti dalla stessa malattia mentale di cui soffriva il loro padre. Il finale svela tutto.
Non il miglior film di Lenzi, ma si lascia guardare senza nessuna difficoltà. L'idea migliore sono le bambole disseminate a manciate, qua e là, lungo tutto il film, delle quali soltanto nell'ultima scena, il regista, ci spiegherà qualcosa.
Un film che si sviluppa con suspance crescente, senza picchi veri e propri ma molto godibile.
Sei anni dopo, un venticinquenne di nome William Lustig, aiutato agli effetti speciali da Tom Savini, firma Maniac, sceneggiato e interpretato da Joe Spinell.


L'idea di base è quasi la stessa. Lustig riprende i manichini, la follia del protagonista, ma toglie tutta la suspance. Non ne ha bisogno. Sta nascendo lo splatter/slasher, infatti (nello stesso anno esce anche Venerdì 13), ma questo è un altro discorso.

Spasmo di Umberto Lenzi
Italia 1974
con Robert Hoffmann, Suzy Kendall, Ivan Rassimov

martedì 30 ottobre 2012

i tre moschettieri


Nuova versione cinematografica del più famoso romanzo d'appendice di tutti i tempi.
Pistole, navi volanti e poca spada, non renderanno orgoglioso Alexandre Dumas (creatore della trilogia de' i moschettieri), ma io penso che se fosse vissuto ai nostri giorni, probabilmente, lui avrebbe osato ancora più di Paul Anderson (sceneggiatore e regista anche dei Resident Evil e si vede!!!) e di Andrew Davies (sceneggiature anche di Il diario di Bridget Jones).
Il romanzo d'appendine diventa popolarissimo a cavallo tra la fine dell'1800 e i primi decenni del 1900. È un sottogenere del romanzo e punta dritto alla massa. È chiamato anche feuilleton e praticamente è il padre delle soap opera. È concepito per intrattenere un pubblico potenzialmente vastissimo. Ed è proprio quello che fa questo film. Intrattiene.
Se poi ci aggiungi il fascino de' i moschettieri, alla fine ti senti meno in colpa per aver perso quasi due ore di tempo a guardarlo.
Milla Jovovic arriva dritta dalla serie dei "Resident", cambiandosi d'abito e niente più. Stessa bellezza, stesse capriole. Il marito Paul Anderson (regista e sceneggiatore), infatti, non perde tempo a scriverle un nuovo personaggio e le affibbia solo un altro nome (Milady).
Christoph Waltz (Bastardi senza gloria, Carnage, Django Unchained) è un Richelieu che trama complotti senza la cattiveria necessaria per portarli a termine. Mentre Orlando Bloom è un Duca di Buckingham troppo ingenuo, preso tra i giochi del Cardinale, di Milady e gli stessi moschettieri.
La storia è sempre quella, i mezzi son cambiati.
Se non trovi niente di meglio da fare o, come ho fatto io, durante una lunga pausa caffè dopo pranzo, potresti dargli una chance, ti terrà comunque compagnia.

I tre moschettieri di Paul Anderson
Stati Uniti d'America, Regno Unito, Germania
con Logan Lerman, Milla Jovovic, Orlando BloomChristoph Waltz

lunedì 29 ottobre 2012

le storie della mia incredibile vita


Racconto in fase di scrittura

Ci sono delle cose che nessuno riesce a capire.
Non è che sono più complicate di altre situazioni della vita, è solo che sembrano nascere con dei contorni mutevoli e questo sembra donare loro molteplici significati. Affascinante, no?
Ma qual'è, infine, il vero significato delle cose? Qualunque azione che compiamo è interpretabile, è per questo motivo che abbiamo creato l'espressione Mezzo pieno, mezzo vuoto, perché ogni cosa può essere diversa da come noi la intendiamo. Dipende dal punto di vista, da come la si guarda e da come ci si pone nei suoi confronti e nelle varie sfaccettature dei suoi significati.
Una cosa è l'interpretazione onesta, un'altra è l'interpretazione di comodo e capire ciò che più conviene. E poi c'è chi non capisce per pigrizia, per superficialità, per ignoranza o per partito preso. Ma c'è anche chi, nato con quegli stessi contorni mutevoli, può compiere la scelta incredibile di mettersi a fuoco e vivere una vita netta e normale al pari della maggioranza delle persone di tutto il mondo, o, e questo è straordinario, decidere di confondersi del tutto nei molteplici significati che le cose della vita, persone, esseri viventi e azioni, hanno. È proprio di questi ultimi, che tratta questa storia. Persone che spesso possono essere intese come sempliciotte, poveri pazzi, o peggio, totali idioti. Dipende dai punti di vista, no?
Esseri dotati di una particolare fantasia, come tanti del resto, ma che per le ragioni più disparate, alla fine, hanno scelto di vivere sfuocati dando alla loro vita un'interpretazione del tutto personale, sono per natura esposti al giudizio severo di tutti. È facile attaccarli. Schernirli.
Chissà quali incredibili storie potrebbero raccontarci, invece. Non te lo chiedi mai? Chissà quale incredibile vita ha vissuto. Chissà come si chiama. Chissà come è arrivato fino a qui.
È proprio il mio caso. No, non sono io, quell'uomo. Io faccio da tramite, ne racconto la storia mentre accarezzo la mia gatta Stella. Io sono solo la voce narrante, insomma.
Quell'uomo era... in effetti assomigliava tantissimo a... beh, non importa. Non sono molto fisionomista. Mi è capitato spesso di confondere le persone, d'altronde. Eviterò dunque questo genere di descrizioni e mi limiterò a raccontare dello straordinario caso che mi portò a incontrarlo e di come, senza che me ne rendessi conto, i suoi racconti resero incredibile anche la mia vita.

Non c'era nessuno e per questo pensai che fossero andati tutti alla festa del paese. Magari alla messa, o al concerto. Poco probabile, certo, ma chissà per quale motivo non riuscivo a pensare a qualcosa di catastrofico. Non c'era anima viva perché stavano tutti da un'altra parte, ecco quanto. Fu così, quasi per semplice curiosità, che cominciai a cercarli. Tutti, intendo. Chiunque, insomma. Una persona, perlomeno. Mi avventurai, senza pensarci, nella via accanto alla mia, tenendo d'occhio porte e finestre, attento a scorgere qualunque movimento. Le auto erano parcheggiate di fronte alle abitazioni come ogni giorno e nulla faceva supporre chissà quale strano evento. Così, senza rendermi conto, visitai diversi isolati. Fu a quel punto che sollevando lo sguardo mi accorsi di essere arrivato fino in Prefettura, un grande palazzo circondato da tantissime colonne bianche. E ai piedi delle colonne, finalmente, vidi due individui vestiti di nero. A dire il vero la distanza non mi consentiva di capire come fossero vestiti, ma mi parve proprio che indossassero entrambi abiti scuri.
Stavano uno di fronte all'altro con la testa china. Parevano due sensei giapponesi ma poteva trattarsi benissimo di due ragazze molto timide. Anzi, secondo me erano due teppistelli che si minacciavano protendendo la testa come fanno i galli. La cosa strana è che, chiunque fossero, avevano entrambi la stessa postura, come fossero uno lo specchio dell'altro. Come fossero la stessa persona.
Fu a quel punto che sentii un rumore alle mie spalle. Mi voltai e vidi Stella uscire velocissima dal portone di una casa. C'incontrammo in questo modo, infatti, e come fa di solito con le persone che non conosce, non mi degnò neanche di uno sguardo. Mi colpì quella macchia bianca che le si stagliava sulla fronte. I suoi contorni non erano il massimo della definizione, ma mi parve proprio che assomigliasse a una stella. Mi sembrò normale, quindi, chiamarla così. Se mai l'avessi vista ancora una volta, l'avrei certamente chiamata Stella.
Approfittai dell'unico portone trovato aperto, dunque, e continuai le mie ricerche dentro quella casa, appena qualche minuto. Se non avessi trovato nessuno, sarei andato incontro ai due sensei o quel che erano.
Pensavo che magari, Stella, vivesse con qualcuno, o quantomeno che stesse scappando da qualcuno e tanto mi bastava. Magari qualcun altro, oltre me e le due timide ragazze accanto alle colonne della Prefettura, si erano perse la festa. Ma la casa era completamente vuota, le poche stanze dell'unico piano erano state lasciate così, come dicono nei film di fantascienza, come se gli abitanti fossero dovuti andare via di tutta fretta o come se fossero letteralmente svaniti nel nulla all'improvviso.
Stavo decidendo di andare via quando sento un affettuoso rumorino salire dal basso. Stella era tornata e faceva le fusa strofinandosi alle mie caviglie. Le sorrisi deciso di inchinarmi per accarezzarla, ma lei scattò via uscendo dalla stanza. Ne rimasi offeso, a dire la verità. Tutte così, le femmine, pensai.
Ma Stella questa volta non stava scappando. Come capii subito dopo, mi stava conducendo nella camera da letto, dove prima, in effetti, non ero entrato. Era talmente piccola e poco arredata che mi limitai ad affacciarmici appena.
C'era un letto a due piazze proprio davanti a una finestra, un armadio con quattro ante e un comò con tre cassettoni. Ora Stella stava sopra il comò e mi guardava entrare. Mi chiamava con quel miagolio delicato, promettendomi che questa volta non sarebbe scappata, così le andai incontro e d'un tratto mi accorsi di un fatto che mi raggelò il sangue. Sul piano del comò,  in fondo, appiattito al muro, c'era un uomo senza gambe che mi guardava sconvolto. Aveva solo il busto, le braccia e la testa. Le gambe mancavano e questo, nelle prime battute, mi aveva scioccato. Questo e il suo sguardo sconvolto.
Ma poi lo vidi da prima rasserenarsi e infine sorridere scuotendo la testa, così capii che in lui non c'era nessuna sofferenza e che per chissà quale bizzarro motivo, non avere le gambe, fosse normale.
-Lo sapevo-, disse ridendo.
-Mi scusi, io non avevo nessuna intenzione di entrare a casa sua. È che sono spariti tutti, si spostano in continuazione, così li stavo cercando. Davvero, non sarei entrato. Stavo proprio per raggiungere due teppistelli che stavano litigando accanto alle colonne della Prefettura, ma poi ho sentito Stella che mi chiamava eh...-, non sapevo proprio come uscirne. Le parole sgorgavano dalla mia bocca come acqua.   -... Beh, in realtà in prima battuta non mi ha considerato proprio, ma poi quando è tornata ha fatto le fusa così l'ho segui... ta-, ora mi guardava come se fossi un tenero cucciolo.
-Stella, già. Perché no. D'altronde è plausibile. Stella-, e volse lo sguardo alla gatta che ormai si leccava le zampette senza più fare caso a noi. Poi con una fierezza quasi imbarazzante mi guardò, -Ti stavo aspettando!- concluse.
-Aspettava me?-
-Ma dammi del tu, via. Si, ti aspettavo per dirti delle cose bellissime.-, la sua eccitazione, ora, era ben visibile nello scintillio degli occhi.
-D'accordo-, dissi io, cercando con lo sguardo una sedia nella stanza. Pensai di sedermi e starlo a sentire. Avevo commesso il crimine di entrare a casa sua e questa non mi sembrava una pena degna di nome, così l'accettai senza pensarci troppo. Si, ma dovetti restare in piedi, perché non c'erano sedie in quella stanza e l'uomo cominciò subito a parlare.
-Voglio raccontarti tutto. Tutta la vita. Ti racconterò tutta la mia vita. E... senti, senti questa... anche tu potrai farlo. Potrai raccontare la mia vita, la tua e qualunque altra vita vorrai raccontare. Non è fantastico? Non è meraviglioso? Si, è straordinario. Siamo nati per questo ma non lo abbiamo capito. Siamo nati per raccontare. Che senso ha vivere se poi non raccontiamo a nessuno come abbiamo vissuto? Nessuno. E sai perché non lo facciamo? Sai perché? Lo sai? Non la raccontiamo perché la nostra vita fa schifo, ecco perché. Fa schifo e ci vergogniamo, così ce la teniamo per noi, la nostra triste vita e la facciamo diventare ancora più misera. Ancora più triste. Come quelle due ragazze timide che hai visto la fuori, accanto alle colonne della Prefettura. Dovrebbero vivere un po' di più, non credi? Con un po' di fantasia si possono fare nuove amicizie, non sei d'accordo? Vivere avventure pazzesche. Sognare a occhi aperti non è solo un modo di dire, caro tu. Vuol dire vivere a pieni polmoni. Vuol dire vivere una vita che vale la pena di raccontare. Eh? Che ne dici?
-Beh, non so... credo di si-
-Allora?-
-Cosa...?-
-No, dico... la vuoi sentire? Posso raccontartela la mia vita? Le mie storie?-
-Si, certo. Raccontami pure le tue storie-
-Oh, bene. Ti racconterò tutto. Comincio da dove vuoi tu. Dimmi da dove vuoi che cominci. È uguale sai? Non fa differenza, ogni storia può essere ascoltata autonomamente dalle altre-
-Direi dall'inizio-
-Oh, accidenti. Ottima scelta. L'inizio è sempre un buon modo per cominciare. Bravo.-
-Grazie-
-Bene, allora comincerò dal giorno in cui sono nato. Che storia, ragazzi, da non crederci. Puoi dirmi quello che vuoi, ma ciò che accadde quel giorno vale proprio la pena di essere raccontato. Ascolta.-

#1 - Quando nacqui centrocampista.
#2 - Quando sconfissi Mommotti. (Prossimamente)

sabato 27 ottobre 2012

le donne... non è gente

Secondo me le donne non esistono. Non come genere femminile umano, intendo. Fanno parte di un'altra specie, c'è poco da dire. Hanno qualcosa di oscuro e incomprensibile dentro che è difficile da spiegare. Non sto dicendo che "non le capisco", non è questo. Le capisco, si. Certo che le capisco. Ma la loro totale irrazionalità è qualcosa che non fa parte di questo mondo.
Ci pensavo da poco, guardando la TV. Hai notato che gli ultimi inquietanti delitti commessi da donne rimangono quasi irrisolti? Per dire... Falle confessare se ci riesci!
E poi ti fanno fare strane cose. Alcune le tratti male senza motivo. Altre le tratti bene senza nessun motivo!
La cosa strana è che col tempo ti rendi conto che le situazioni sono sempre le stesse.
Parlavo con una persona, da poco, un giovanotto che aveva problemi con la sua prima ragazza. "Mi ha lasciato perché non sapeva più cosa provava per me", mi fa. "Cosa hai combinato?" chiedo io. "Io nulla. Lei ha baciato un altro! Un paio di mesi fa, lo ha baciato. Ora me lo ha detto e mi ha lasciato. Così!" Mi guardava incredulo. "Evvabè, dai, capita. Capita a tutti. Capita sempre!" Dico io per rincuorarlo. "Si ma è cambiata, prima era diversa..." cerca di chiarirsi, lui. "Eh grazie, prima aveva 14 anni!"
Non c'è niente da fare, queste storie le conosco già.
Ci sono quelle che pensano di vivere una favola e ti attribuiscono il ruolo del principe azzurro, a te che al massimo puoi recitare la parte di uno dei "Tre porcellini". Poi, quando se ne accorgono, che tu non sei il principe azzurro, ti mollano. E te lo dicono, il perché: "Pensavo fossi il principe azzurro invece sei pieno di difetti!". E te li elencano pure, i difetti. E c'hanno ragione, c'hanno. Li beccano tutti e fortunatamente non ne hanno notati alcuni. I peggiori.
Ho un'amica che mi chiede sempre di guidare. Così. Io sto guidando e magari la riporto a casa. Lei vuole guidare. Perché poi era nato tutto un giorno che aveva dimenticato una cosa IMPORTANTISSIMA! Mi ero incazzato perché era IMPORTANTISSIMA e lei mi aveva detto: "lasciami le chiavi della tua macchina che vado a prendere la cosa IMPORTANTISSIMA!" e io, allora, valutando tutte le possibili conseguenze cosmiche avevo detto: "Dai, non importa. Lascia perdere". Da allora lei si è messa in testa che io non ho fiducia nelle sue innate capacità di pilota.
Ma le donne non sanno guidare! Non è una mia impressione. È la pura verità. Usano il clacson appena vedono spuntare il muso di una bici a 400 metri di distanza, per esempio. Quando devono parcheggiare se non trovano uno spazio grande quanto il doppio della macchina restano a cercarlo per altri due giorni. Con l'evoluzione stanno acquistando un altro braccio per le marce perché scordati che usino una delle due con le mani incollate al volante! E il sedile? Non lo accostano al volante, lo mettono proprio sotto incastrato nel cruscotto. "Per arrivarci meglio!" Ma stai comoda, diamine. Devi star comoda quando guidi, rilassati.
Ho un'altra amica che riesce a odiare una persona a pelle dopo due secondi. Ma la cosa più incredibile è che glielo deve far sapere. Non in modo velato. Sottile. No. Glielo dice. Garbata, ma glielo dice. Ed è finita, perché quella persona è stata inserita in una speciale lista nera dalla quale non uscirà mai. Chissà per quale strano motivo, poi.
Dicono, "Voi uomini siete tutti uguali", ma non è proprio così. Il fatto è che comunque, alla fine, apparteniamo a una grande categoria che con le dovute sfumature ci accomuna tutti. Quindi, se riesci a capire un uomo e le sue peculiarità, probabilmente riuscirai a comprenderne un altro con sfumature simili. Il vero problema, infatti, non siamo noi. Il problema concreto è che loro non sono solo diverse una dall'altra, ognuna è un intero universo completamente diverso dall'altro. Ogni volta devi ricominciare da capo. Ogni volta è una lotta. Ma quando poi trovi il senso...
È quello che mi frega. Il senso.
A parte tutto, comunque, preferisco un'amica, a dieci amici. Tu no? Ma non fraintendermi, parlo di semplice ma profonda amicizia. Trascorrere qualche lieta ora a chiacchierare con una donna mi stimola molto di più che farlo con un uomo. Perché, tranne alcuni rari casi, si finisce a parlare sempre delle stesse cose e infine sempre di donne, cazzo. Un chiodo fisso! Con loro no, non ci penso neppure, alle donne. È come se ognuna, con la sua vicinanza, annullasse tutte le altre. Le cancellasse completamente. Esiste solo lei, ora. Basta. E non sto parlando di sesso. Stregoneria.
Esempio. A Scuola per i primi tempi avevamo formato una specie di banda. Terribile. Non dimenticherò mai la municipale che ci rincorre attraverso le viuzze del paese e noi rimasti in due in un "Si" a scappare rischiando di lasciarci la pelle contro qualche muro. Divenni un abile giocatore di biliardo e si parlava di donne senza battere mai chiodo. E la squola? Beh, fai un po' tu.
Decisi di cambiare strategia, quindi. Cominciai a viaggiare con le mie compagne di classe e le cose cambiarono notevolmente. Il primo passo verso l'uscita del tunnel delle superiori, infatti è proprio quello. Il treno. Credete che trascorrano tutto il giorno a studiare, in casa? Si fanno i cazzi loro quanto e più di noi, altroché. Stanno attente quanto basta in classe, rileggono tutto in treno e ripetono la lezione. Se viaggi con loro, stai sicuro, che qualcosa la impari e la scuola non è più un problema.
Un'amica inventa le parole perché secondo lei quelle esistenti non rendono al meglio il concetto da lei espresso. Capirai. Ma è talmente convinta di questo che ormai lo afferma serissima. Un'altra pur comprendendo la limba (la lingua sarda), non sa parlarlo. Fattene una ragione, no? No. Inventa le parole. Le prende in italiano e cercando il suono che a lei piace di più, le reinventa in sardo. Un'operazione complicatissima, inutile e senza senso. Ma lei è contenta così.
Poi, quell'altra, quella che ha sempre ragione. Quella che oggi mi spiega una teoria impossibile che non mi convince per niente e che domani la fa passare come accettata e ormai risaputa. E mi guarda con quell'espressione e quegli occhi che solo lei in questo pianeta ha imparato a fare (ognuna ha il suo), come per dire, "ho ragione e tu lo sai, ti sfido a dire il contrario!".
Sono incredibili. Impossibili. E se ho scritto la lista della spesa, c'è chi mi dice "Ma come fai...", senza capire che il genio è lei, con la matita, i pennelli, le sue idee... la sua voce... che voce, quando cantava!
Non fanno parte di questo mondo. Di questo universo. Perché ognuna è un altro universo. Universi in continua espansione. Cominci un post parlando male di loro e lo chiudi... beh...

pontypool


Eccezionale!
Il talento, questa volta, è tutto canadese. Il regista Bruce McDonald smonta tutto lo smontabile e ricrea qualcosa di completamente nuovo. L'importante è togliere ogni logica comprensibile. Davvero geniale.
Siamo in una tranquilla cittadina del Canada, a Pontypool. Una piccola stazione radio, come ogni giorno, va in onda. Durante la diretta alcune persone telefonano per testimoniare di strani avvenimenti che riguardano persone che si comportano come bestie e soppressioni indiscriminate da parte di polizia ed esercito. Da li a poco, la situazione precipita.
Orrore è intelletto.
Horror è d'autore.
Immagine è parola.
Zombie è inciviltà.
Uccidi è bacio.
Non vedrai niente di già visto. In tutti i sensi. Non hai capito nulla? Beh, meglio così. Evita di comprendere e... mi raccomando: Zitto o muori!, ma se proprio ti scappa di usare le parole, stai bene attento a quello che dici o sarai l'artefice della fine del mondo.

Pontypool - Zitto o muori di Bruce McDonald
Canada, 2008
con Stephen McHattie

lunedì 8 ottobre 2012

melancholia


Leeeeentooooo!!!
Questo film è lentissimo e dura più di due ore, titoli compresi.
Finalmente l'ho visto. Me ne avevano parlato male nonostante le critiche positive su internet e io prendevo tempo perché non volevo guastarmi il buonissimo sapore che ancora sentivo, a distanza di tempo, per quel capolavoro che è stato Antichrist, precedente film dello stesso regista. Invece l'ho visto ed è bellissimo! un opera unica che cambia tutto il concetto di cinema.
Lars Von Trier non si limita a dirigere un film. Lui dipinge, compone (nel senso di realizzare un collage), crea e poi come il più maledetto degli artisti maledetti, distrugge tutto, e distrugge se stesso. Perché "la vita in questo mondo è cattiva e nessuno sentirà la sua mancanza". Depressione.
Già. È pericoloso vedere questo film e prenderlo troppo sul serio. Perché la sensazione che senti crescere è reale, specialmente in persone come me portate alla depressione e all'autodistruzione.









Von Trier divide il film in capitoli, come sua abitudine, e crea due diversi racconti collegati tra loro eliminando tutti i personaggi superflui (anche questa è una sua caratteristica) per andare a chiudere con i soli protagonisti.
Il prologo è la cosa più bella e visivamente affascinante che abbia mai visto. Crea immagini, dipinge quadri, compone grafica artistica, anima fotografie e porta la fotografia cinematografica a un livello superiore.
Il preludio a Tristano e Isotta di Richard Wagner fa da cornice musicale alla catastrofe. Infatti ci toglie ogni dubbio sul finale, il regista. Non ci sarà nessun lieto fine, scordatevelo. La terra andrà in collisione col pianeta Melancholia e ce lo fa vedere subito.
La storia che ci racconta non è, dunque, una classica teoria catastrofica piena di effetti speciali. Quello che vuole mostrarci è la differenza di comportamento delle persone coinvolte in una catastrofe di tale portata. L'idea di questo film pare gli sia venuta durante una sessione di analisi dallo psicologo dove ha appreso che le persone depresse riescono a restare più calme, in situazioni di forte stress.
Dunque crea due personaggi che rappresentano due diversi aspetti della sua personalità e li mette a confronto. La prima è Justine, una copywriter troppo brava per la pubblicità, fresca di matrimonio e affetta da una gravissima forma di depressione. La parte venne scritta originariamente per Penelope Cruz, ma alla fine fu affidata a Kirsten Dunst.
La seconda è Claire (Charlotte Gainsbourg), sorella della prima, casalinga sposata con un ricchissimo uomo d'affari (Kiefer Sutherland) e madre di un bimbo. Al contrario di Justine, lei ha un carattere forte (almeno all'apparenza) e propositivo. Vuole avere il controllo su tutto anche e sopratutto nelle situazioni in cui non è protagonista e arriva persino a odiare tutte quelle persone (Justine compresa) che non riescono a essere felici. Secondo lei, infatti, la vita è bella a prescindere e i soldi riescono a risolvere qualunque tipo di problema. Ammirevole, anche no, ma non è esattamente così.
Il film racconta, dunque, gli ultimi attimi del pianeta terra e in particolare gli ultimi giorni di due sorelle. Mentre Justine ci viene presentata come una dolcissima ragazza felice per avere coronato il suo sogno d'amore, col trascorrere del tempo ci rendiamo conto che la sua è solo una grande finzione e ci caliamo nei suoi pensieri neri e nella sua inguaribile depressione. Di contro Claire ci viene presentata come una forte e burbera donna sempre pronta a rimproverare chiunque non segua i suoi dictat per poi accorgerci della sua fragilità e della sua frustrazione dovuta al fatto che non riesce a controllare l'incontrollabile e proteggere la sua famiglia dall'inevitabile, neanche con tutti i soldi che ha a disposizione.
La Gainsbourg è bravissima, come al solito (lo è sempre stata dai tempi de Il giardino di cemento), mentre la Dunst no. Cioè, è stata brava, forse la sua migliore interpretazione. Tutti l'hanno osannata, e mi pare che abbia vinto pure dei premi. Ma non mi colpisce, come al solito.
Come sempre accade per i film di Lars Von Trier, anche questa volta siamo di fronte a qualcosa che può dividere nettamente i pareri e i gusti del pubblico, ma è innegabile che siamo al cospetto di un film eterno!

Melancholia di Lars Von Trier
Danimarca, Germania, Francia, Svezia, Italia 2011
con Kirsten DunstCharlotte Gainsbourg e Kiefer Sutherland

domenica 7 ottobre 2012

l'alba dei morti dementi



Uscito nel 2004 col titolo Shaun of the dead, è stato accolto positivamente da alcuni e ignorato da altri. Niente di nuovo. I fan dell'horror ne hanno apprezzato le citazioni ma come spesso accade, i puristi, hanno mal digerito la leggerezza con cui è stato tradotto il titolo. Shaun è una derivazione del nome Giovanni, ha origini ebraiche e significa "dono del Signore". È il nome del protagonista. La soluzione migliore sarebbe stata "Shaun dei morti", ma in Italia hanno voluto omaggiare Romero e il suo Dawn of the dead (che in italiano sarebbe dovuto essere "L'alba dei morti" e che invece è diventato semplicemente Zombi), riprendendo l'aggettivo "viventi" (e storpiandolo in "dementi") accanto al sostantivo "morti" del primo Night of the living dead (La notte dei morti viventi). Semplice, no?
Ma perché non lasciare i titoli in inglese? Shaun of the dead è già un chiaro omaggio a Dawn of the dead!
Questo film fa parte della Trilogia del Corneto concepita dal regista Edgar Wright il quale accosta un gusto di gelato e quindi un colore diverso a ognuno dei film (a un certo punto, i protagonisti, mangiano un cornetto), omaggiando chiaramente la trilogia di Krzysztof Kieslowski, Tre colori.
Comunque.
Shaun (Simon Pegg visto anche in Hot Fuzz, secondo film della trilogia, di cui parlerò più avanti) è un trentenne o poco più che si divide tra il noiosissimo lavoro in un negozio di elettrodomestici, la relazione secondo lui stabile con la fidanzata Liz e l'amicizia da difendere a tutti i costi con lo sfaticato e quasi inutile Ed. I suoi valori e le sue certezze fanno a pugni con un mondo marcio e con le insicurezze di Liz così è costretto a stare in equilibrio in una situazione che diventa sempre più instabile. Liz lo lascia e lui non trova di meglio da fare che andare al pub con Ed mentre i morti tornano in vita... e sono affamatissimi!
Accade tutto senza che Shaun se ne accorga perché è troppo impegnato con i suoi problemi. Un virus, probabilmente, si diffonde tra i cadaveri e durante la notte l'epidemia è ormai esplosa incontrollabile. I telegiornali danno la notizia e qualche consiglio per la sopravvivenza. Shaun e Ed continuano a interpretare il ruolo di sfigati in un mondo che non si cura di loro e parlano di cose poco importanti.
Cambia tutto quando i due prendono coscienza della situazione e lo fanno in una scena esilarante. Da vedere e rivedere! È a questo punto che Shaun, in un colpo solo, ha l'occasione di far vedere a tutti di che pasta è fatto. Ma lui è spinto dal semplice istinto di sopravvivenza. Così, dopo qualche ora passata a organizzare il piano, in un'altra scena irreale, si mette in moto con il suo fedele amico Ed. L'obiettivo è: salvare sua madre e uccidere il patrigno (sperando che sia diventato uno zombi), salvare Liz (portandola via come farebbe un cavaliere coraggioso) e arrivare al pub (come in Zombi arrivarono al centro commerciale) e li aspettare che le cose si risolvano da sole. Inutile dire che il piano fa acqua da tutte le parti e che nulla effettivamente va esattamente come previsto, ma che alla fine l'obiettivo viene raggiunto. I nostri eroi fingono addirittura di essere degli Zombi per passare inosservati tra quelli veri ed entrare finalmente nel pub dove il cerchio si chiude in un finale splatter, drammatico, con una certa suspance, ma nello stesso tempo tutto da ridere!

Shaun of the dead di Edgar Wright
Regno Unito, Francia 2004
con Simon Pegg, Nick Frost e Kate Ashfield