sabato 23 ottobre 2010

diegozillab - fase due: le tessere

   
     
   


Questa cosa mi piace, devo essere sincero.
Assomiglia tanto a un giochino. Un gioco virtuale.
Vengono disseminati alcuni indizi qua e la e io sto li ad aspettare di vedere dove stiamo andando a parare.
Il laboratorio di Diego Cajelli non è ancora cominciato, ma lui cerca di organizzarsi più che può per non perdersi strada facendo tra i 151 iscritti. Non sono pochi.
Ecco dunque che dopo il bannerino che attesta l'ufficialità di ogni membro, ora rilascia le tessere.
Serve a lui, intendiamoci.
I motivi sono svariati. Perché così si ricorda più precisamente chi siamo. Perché in qualche modo ha fatto un test d'ingresso (tramite l'iscrizione e i dati che gli abbiamo offerto rispondendo alle domande) e perché si diverte tanto, ci scommetto.
Ma così ci divertiamo pure noi, a cercare di stargli dietro, a capire chi sia colui che nella foto rappresenta il nostro Avatar, oltre che a cercare di scoprire da dove arriva la citazione che da il nome alla classe.
Come avevo intuito sono capitato nella classe dei Profeti, era una questione di graduatoria (così come ci siamo iscritti insomma). Oppure no, chissà.
Comunque, questa è la mia tessera.
Avete capito chi è il giovine nella foto?

giovedì 21 ottobre 2010

macchie d'inchiostro n°8 e dvd del film macchie

Come dicevo nel post precedente, con l'Associazione Culturale Chine Vaganti, sto organizzando la trasferta in Toscana. Parteciperemo alla più grande fiera italiana del fumetto: Lucca Comics and Games dal 29 ottobre al 1 novembre 2010 più qualche giorno di viaggio in nave.
Saremo presenti nella sezione Editori, padiglione Napoleone e divideremo lo stand E145 con l'associazione amica La Matita.
Venite a trovarci, mi raccomando, quella sopra è la piantina del padiglione e il puntino rosso rappresenta il nostro stand.

Durante la manifestazione presenteremo le nostre ultime pubblicazioni.
La rivista Macchie d'Inchiostro è arrivata al n°8 (nuova serie) e in questa circostanza raccoglie alcune storie a fumetti pubblicate in altri numeri, ma risistemate nel lettering e non solo, corrette e, nel caso della storia più lunga (21 pagine), pubblicate nella loro
versione integrale.
Queste storie rappresentano una svolta per l'associazione perché hanno ispirato Christiano Pahler, socio ormai da anni, a farne un film nel 2008.  In quel momento nasceva il Gruppo Cinema che oggi lavora alla seconda produzione.
Il film venne presentato per la prima volta durante la manifestazione che festeggiava i primi dieci anni di attività di Chine Vaganti dove era presente, come ospite, Antonio Serra (papà di Nathan Never) il quale ha scritto un bellissimo pezzo proprio in questo numero della rivista.
In allegato alla rivista ci sarà anche il DVD Macchie, il film di cui sopra. L'associazione ha fatto le cose in grande, questa volta, producendo e distribuendo il film che segna l'inizio della nuova era targata Chine Vaganti.
Avremo tante novità, dunque, da presentare durante la manifestazione, quindi ci auguriamo che siate in tanti a visitarci.
Troverete i nostri disegnatori all'opera live, potrete parlare con alcuni degli attori del film in questione e criticare (speriamo di no) personalmente il regista.
Da non perdere, inoltre, la mirtata che stiamo organizzando per festeggiare Halloween a modo nostro.
Chi ci farà visita in 31 dalle 17.00, infatti, potrà degustare il nostro mirto fatto in casa e parlare di fumetti in tutta lucidità!

Ricapitolando, dunque:
Macchie d'Inchiostro n°8 - 72 pp b/n
Macchie - DVD, 61 min b/n
Mirto sardo fatto in casa
Tutto compreso!

il laboratorio di fumetti online di diego cajelli

   
     

Ebbene sì, sono ufficialmente un membro di Diegozillab.
Non ho capito bene in che "classe" son finito ma a intuito penso in quella chiamata Profeti di Bajor. Tutto questo (e tutte le foto postate sul suo blog) spiega quanto Cajelli ami la serie televisiva di Star Trek. I profeti, infatti, erano un popolo extraterrestre della serie.
Sono curioso di cominciare questo laboratorio e immagino che il dialogo (spero ci sia) che nascerà tra lui e noi sarà importante quanto le lezioni.
Si comincerà a novembre, dopo il suo ritorno dalla fiera del fumetto di Istanbul, con quattro lezioni sulla scrittura creativa in generale che porteranno a un primo test: stesura di un racconto breve.

Bene, io (in compagnia di Chine Vaganti) sarò a Lucca e tornerò proprio a novembre per il suono della campanella.
Seguiranno dei post sul laboratorio e il suo svolgimento.
A presto.

lunedì 18 ottobre 2010

il collezionista #9

Una ventiquattrore in pelle nera:

Ho imparato che non puoi fare nulla per cambiare le persone se non sono loro a volerlo. Ognuno di noi ha una vita a disposizione per farlo ma questo non significa granché se non impari a capire qual'è il tuo tempo e il tuo spazio in questo tempo.
Ho imparato che alla fine dei conti siamo tutti nella stessa barca e che è difficile imparare a remare nella stessa direzione.
Sono troppe le distrazioni per individuare i veri problemi e si finisce sempre di voler risolvere i più inutili.
È questo che posso lasciarti, nulla di più, perché non sono la persona giusta per raccogliere altri oggetti. Nessuno dovrebbe accollarsi questa responsabilità.

Quando l'omino bussò alla mia porta avevo la mia vita, il mio credo, le mie preoccupazioni e tanto mi bastava.   Lui ha cominciato questa collezione per hobby, nessuno lo aveva spinto a farlo. Gli piaceva semplicemente conservare cose che in qualunque altro modo sarebbe impossibile, o quasi, mettere da parte. Poi, mi disse, incontrò un vecchio e in quel momento capì. Mentre il vecchio moriva, lui capì che non c'è nulla di meglio che vivere e aspettare che qualcosa accada.
Non ne aveva più bisogno, di questa ventiquattrore. Non aveva più bisogno di raccogliere esperienze altrui. Oggetti appartenuti a strane storie.
Fu così che scelse una porta a caso e si presentò a me.
Io non voglio lasciarti nessuna responsabilità oggettiva. Io ti lascio la valigetta. Decidi tu cosa farne.

Tutto quello che accade nel mondo non è perfettamente casuale ma il risultato di lunghissime operazioni. È come dire che in una somma algebrica a un certo punto inseriamo "-1" in luogo di "+1". Il risultato cambia e come. Ma se continuiamo a inserire numeri con il segno negativo, poi, non dobbiamo stupirci del risultato.
I segnali che il risultato sarà comunque negativo sono attorno a noi. Sono nell'aria. Sono dentro di noi. Nella nostra rabbia e in tutto quello che pensiamo e facciamo.
Non sto dicendo che il futuro è già scritto, non fraintendermi. Ognuno è padrone del proprio destino e quindi del destino collettivo.

Sei libero di vuotarne il contenuto e di buttarlo via. Di riempirla di altri oggetti o di continuare questa collezione. Quella che ti lascio è una semplice ventiquattrore in pelle nera.

Fine.

domenica 17 ottobre 2010

il collezionista #8

Una leggenda metropolitana:

Se ne parla tanto, in questi ultimi tempi.
È una storia che si sta diffondendo sempre più nei luoghi in cui sono nato. Una leggenda, nient'altro, ma forse come tutte le leggende ha radici in un fatto reale.
Esiste un bar, dalle mie parti. Un piccolo bar, per dirla tutta, posto a un lato di un grande parcheggio di un'ospedale. Questo parcheggio, la notte, è preso d'assedio dai giovani innamorati che cercano un poco di intimità.
Si narra di una ragazza che attendeva di incontrare un suo amico proprio in quel bar e forse il fatto che avessero li, il loro appuntamento, era significativo per la vera natura del rapporto. Pare che i due fossero innamorati l'una dell'altro ma che, come spesso accade, non riuscissero a esprimerlo. Lo aspettò tanto, la ragazza. Rimase li per delle ore, a consumare frappè alla banana, ma del ragazzo neanche l'ombra. Immaginò di vederlo arrivare, poi, sentì perfino un tuffo al cuore nel vederlo. Immaginò di sfotterlo, di ridere e di perdersi nei suoi occhi. Immaginò di essere felice, quel giorno.
Se ne andò verso sera, quando le luci dei lampioni prendono il posto del sole. Se ne andò guardando quei giovani innamorati che arrivavano a frotte a scambiarsi effusioni d'amore. Se ne andò ma ritornò il giorno dopo con la speranza d'incontrarlo e la convinzione che sarebbe stata la volta buona per dirgli cosa provava per lui. Il ragazzo non arrivò mai perché morì in un incidente stradale proprio mentre raggiungeva la ragazza in quel bar.
Lei non volle credere alla sua morte. Non andò ai funerali ma ritornò nel bar, a bere il suo frappè, aspettando quel ragazzo che non sarebbe mai arrivato.
Si dice che lei non abbia nessuna intenzione di desistere e a chi le fa notare che ormai è troppo tardi lei non risponde nemmeno. Si siede al tavolino e attende con pazienza.
Se ne parla tanto, in questi ultimi tempi. Si dicono tante cose, di lei, come di una donna pazza e instabile. Una donna che se esistesse la formula della vita eterna non esiterebbe certo a sperimentarla per continuare ad aspettare eternamente l'uomo a cui mai, fino a quel momento, aveva dato una speranza.

sabato 16 ottobre 2010

chi si nasconde... non è gente

Quando ho immaginato la serie dei post "... non è gente" volevo esercitarmi in qualcosa che non avevo mai fatto. Mi piaceva l'idea di cominciare a scrivere dei pezzi che potessero assomigliare sempre più a dei monologhi (quasi) comici. Qualcosa che prendesse dalla realtà e che portando alla luce fatti reali provocasse poi una risata. Non sono un comico, quello è un lavoro serio. Lo penso veramente. Ma penso che un autore, se vuole lavorare, deve sapersi confrontare con più registri di narrazione. Mi sto rendendo conto che per ora è una forzatura percorrere questa strada e che, in definitiva, è una strada molto lunga, da percorrere. Quindi mi lascerò più libertà e continuerò a scrivere questi pezzi con la speranza di ottenere un giorno il risultato sperato. Per ora mi accontento di levarmi qualche sassolino, che non guasta mai.
Non mi piace nascondermi. Comunque sia, in quello che faccio, ci metto sempre la faccia.

E' un mondo di persone che si nascondono cercando comunque di influenzare piccole e grandi situazioni.
Sono tante le persone abituate a non esporsi, perché la paura di non essere accettati è grande. E' normale. Se non vieni capito nessuno può darti ragione e di conseguenza nessuno può essere dalla tua parte. Allora che fai? Semplice, ti nascondi. Bravo. Ciò che pensi non lo dici. Bravissimo. 
Attendi di trovare una folla che urli qualcosa che assomiglia al tuo pensiero e cominci a urlare con loro. Hooligan! La sindrome del branco regna sovrana.
Oppure ti comporti come Iago. Non sai chi è Iago, vero? Però ti senti comunque un figo a urlare un pensiero che non ti appartiene. Iago è un personaggio di Otello (La tragedia di Othello, il moro di Venezia), tragedia scritta da William Shakespeare intorno al 1600.
Iago insinua subdolamente un sospetto nel protagonista Otello e continua con mezze frasi fino a che spinge lo stesso moro (Otello) a uccidere la propria moglie Desdemona. Fine.
C'è questa moda di non dire mai, o quasi, cosa si pensa realmente per sparlare poi di nascosto attendendo che le cose sfuggano di mano e la miccia innescata possa esplodere distruggendo tutto.
Sparlare di nascosto è meglio che parlare esponendosi, vero?
Distruggere una situazione è meglio che esporsi costruttivamente per migliorarla, vero?

Il fatto è che parlare è difficile. Oggi non si parla. Oggi si gesticola. Si mandano messaggi criptati, oggi. Esprimersi è una parola grossa, perché comprende l'impegno a farsi capire. E farsi capire è un impegno troppo faticoso.
Ai tempi dei cavernicoli un uomo sceglieva la propria donna con una botta bene assestata della clava. Un diverbio veniva risolto con lo scontro fisico e oggi le cose sono tornate a essere così.
Dire a una donna che ti piace e che avresti interesse a fare del sesso sano con il rischio di essere deriso e rifiutato (scegliete voi l'ordine) è diventata una cosa da evitare come la peste. Meglio non dire nulla. Meglio lo stupro.
Dire a una persona che non sei d'accordo con lui e spiegare anche le tue motivazioni è uno sforzo immane perché l'abitudine a parlare (con calma o meno) si è persa. Meglio fare gestacci. Meglio lo scontro fisico.
Ma chi si nasconde non è un uomo. Chi si nasconde, non è gente. Davvero.

Preferisco chi mi urla in faccia. Preferisco affrontare un gruppo di persone che non è d'accordo con me (è difficile affrontarle tutte insieme, specialmente se ognuno ha pure una posizione diversa, ve lo posso assicurare! E' difficile e non è carino. Ci rimani male ogni quindici secondi), piuttosto che nascondermi. Io ho le mie idee, giuste o sbagliate, ma sono idee genuine, sincere e cristalline. Sono un libro aperto e ne vado fiero di questo. Tendo a non parlare di cose che non conosco, ma mi documento se una questione val la pena di essere discussa.
Io ci metto la faccia. Ho le spalle larghe e mi confronto. Mi prendo i rimbrotti, mi prendo tutto ciò che devo e pure ciò che non merito. Metto in saccoccia e porto a casa. Ma parlo, mi spiego. Ci provo. Non mi nascondo e di questo posso essere fiero. Come sono fiero dei rapporti che nascono dopo questi confronti perché saranno basati sulla sincerità.

Chi si nasconde, invece, si deve vergognare. Specialmente se il giorno dopo incontrandoti per strada ti dice:
-Ciaaaaaaaaao. Mi dispiace per ieri. Spero che stia meglio oggi. Spero che tu abbia risolto.-
Vergogna.
Io sto bene, anzi benissimo. Ci ho messo la faccia e oggi sto sereno.

venerdì 15 ottobre 2010

il collezionista #7.9

(per leggere i precedenti clicca sul titolo)

...Continua da #7.8
Capitolo 9
Il suo nome è Nero, figlio di Joe, un Bracco Italiano, e una bastardina senza nome della zona.
Sua madre è ormai morta da qualche tempo. Suo padre Joe, invece, non lo vede da anni, lo ha lasciato che custodiva un portone il quale, dicono, chiuda un varco dimensionale.
Come per suo padre Joe, sono stati i ragazzi della zona ad appioppargli questo nome. Nero.
Il cucciolo si ritrovò nelle campagne, dopo la morte di sua madre, e pian piano rientrò nel paese che gli diede i natali. Divenne subito la mascotte del luogo e sebbene fosse sempre ben visto dai ragazzi nessuno se lo portò mai a casa per dargli un tetto.
Durante il suo peregrinare, un giorno, si era ritrovato ancora una volta nelle campagne, e quel giorno la sua vita era cambiata. Si era reso conto che nonostante tutto, non c'era nessuno al mondo che poteva dargli ciò di cui aveva bisogno e neanche lui, in realtà aveva mai capito quali fossero i suoi bisogni reali.
Nero era fatto così, pieno di contraddizioni e senza vere radici. Si sentiva cittadino del mondo ma non era mai andato oltre le campagne. Soffriva di solitudine ma non riusciva a resistere in luoghi affollati. Nero era particolare, prendere o lasciare. Nessuno se lo prendeva, infatti. Non ne era soddisfatto.
E' con questo stato d'animo che si era ritrovato ad attraversare la strada proprio mentre arrivava la Renault gialla.
La sua insoddisfazione crescerà esponenzialmente. Sebbene sia un cane, svilupperà emozioni particolari che lo porteranno a vivere con un peso addosso insostenibile.
Conoscerà un giovane scrittore. Ormai adulto, Nero, si lascerà avvicinare solo da lui. Finché un giorno d'inverno si butterà sotto le ruote della sua auto. Nessuno si accorgerà della sua scomparsa. Nero, semplicemente, non esisterà più.
Il giovane scrittore dedicherà a quel cane un libro di poesie che non comprerà nessuno.
Comincerà a scrivere un romanzo, allora, con l'intento non troppo velato di raccontare il grande gioco della vita. Si accorgerà presto che le sue storie grottesche saranno superate di gran lunga da una realtà ogni giorno più incredibile. Smetterà dunque di scrivere e comincerà a guardare il telegiornale, di professione.
Il suo romanzo incompiuto comincerà così:
Capitolo 1
-Sei! Sei morti... anzi, per il momento cinque...-
Uno era un ragazzo sui venticinque anni che era uscito di casa sbattendo la porta dopo un violento litigio con la propria madre.
-Guarda che io ti ho permesso di andare a quella stupida festa in terza liceo!-
-Come al solito non ti ricordi un cazzo! Non ci andai, invece. Mi avevi punito, stronza!-
Si chiamava Alex, aveva dimenticato quell'episodio, ma sua madre aveva questo talento e nei momenti più improbabili andava a ricordare in modo approssimativo e parziale avvenimenti inutili del passato. E' per questo che decise di ucciderla. Per questo o qualunque altro motivo.
Un'altra era Lili e per uno strano caso del destino si trovava nella stessa auto di Alex, nel momento dell'impatto al Guard rail.
Alex, dopo aver assassinato sua madre, andò a casa di Lili e, insieme, si sarebbero recati al parcheggio dei fidanzati a bordo della Renault gialla, ma come sappiamo non ci sono mai arrivati.
La seconda auto coinvolta nell'incidente era una Nissan guidata da un vecchio che nonostante tutto non aveva mai smesso di amare sua moglie.

mercoledì 13 ottobre 2010

il collezionista #7.8

(per leggere i precedenti clicca sul titolo)


...Continua da #7.7
Abe, cieco dalla nascita ma con tanta voglia di vivere, sarà per sempre riconoscente e permetterà a Bruno di morire felice. Ma prima Abe diventerà un luminare, nella scienza, compiendo studi di incredibile importanza che permetteranno all'umanità, a partire dal ventiduesimo secolo, di compiere scelte migliori per vivere vite più felici.
Ogni persona potrà calcolare, infatti, con una percentuale d'errore massima del 10%, le conseguenze delle proprie scelte. Ci vorrà moltissimo tempo, comunque, prima che gli esseri umani imparino a usare questo strumento e nonostante tutto, il pianeta terra, verrà distrutto il 13/04/5711.
Il luminare spinto dall'amore verso suo padre che vedrà invecchiare velocemente e per via della sclerosi multipla che affliggerà sua madre scoprirà un giorno la formula della vita eterna. I suoi genitori, tuttavia, rifiuteranno la sperimentazione perché dalla vita avranno già avuto tutto quello che hanno sempre desiderato. I due moriranno nello stesso momento, sdraiati nel loro letto matrimoniale e mano nella mano, accuditi dal loro amorevole figlio.
Dopo aver capito che la sua scoperta non avrebbe comunque portato a nulla di buono, Abe, se ne sbarazzerà lasciandosi morire di vecchiaia, qualche anno dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la scienza, emulando quello che considera il miglior padre possibile.
Paolo posa il bicchiere e già pensa di chiedere un altro J&B. Guarda Francesca che ora fuma una Capri e gli viene una gran voglia di sputarle in faccia tutto il suo amore, ma come al solito è un male passeggero.
Francesca lo guarda per un attimo, con quello sguardo che sembra stia per dirgli tutto. Paolo attende a bocca aperta, perché quasi ci crede, invece Francesca dice:
-Non mi vuole nessuno!-, facendo il broncio come una bambina.
-Non è vero, e lo sai bene. Anzi, ti dico che tu ti approfitti di tutti gli uomini che ti circondano. Sempre li a fare la sconsolata, l'indifesa... Non mi serve una donna così ed è pieno il mondo. Questa debolezza ostentata danneggia i rapporti.-
-Ehi, stai calmino. Ricordati una cosa: se c'è una che non ha bisogno di nessuno, se c'è una che non ha bisogno di essere difesa, se c'è una persona forte, qua dentro, quella sono io. Ricordalo. Tu sei un uomo!-

lunedì 11 ottobre 2010

il collezionista #7.7

(per leggere i precedenti clicca sul titolo)


...Continua da #7.6
Capitolo 8
Francesca beve qualcosa di biancastro e denso. Paolo sa benissimo che si tratta di un frappè alla banana, ma a guardarla ha comunque un senso di disgusto.
Lei aveva una relazione con un ragazzo di nome Bruno. Una storia d'amore finita per sfinimento. Una di quelle in cui alla fine è difficile dire i perché e i percome.
Bruno aveva la mania del Martini rosso. Lo beveva in ogni momento, a qualunque ora, versandolo nei brillanti bicchieri di cristallo.
S'incontrarono da adolescenti a casa di un'amica che avevano in comune. Lui era il suo fidanzatino, ma dopo il gioco della bottiglia baciò Francesca per la prima volta.
Erano tanti i ragazzini che parteciparono al gioco della bottiglia, quella sera. Qualcuno, oggi, è già morto e gli altri vi basti sapere che comunque moriranno anche loro, prima o poi.
Francesca e Bruno cominciarono dunque una relazione che durò fino alla maggiore età e oltre. Fino a che lei, un giorno, senza troppi giri di parole, lo liquidò. Lo lasciò in un periodo molto confuso in cui in città accaddero episodi strani e molto violenti.
Anche Bruno, venne coinvolto in uno di questi episodi. Ora sta scontando la sua pena in carcere, anche se ancora non capisce quale sia stata la propria colpa. E' stato accusato di matricidio ma lui continua a negare l'accaduto.
Uscirà di galera un giorno d'autunno e ad attenderlo ci sarà Francesca.
-Ciao, Bruno-, gli dirà.
Bruno avrà uno sguardo assente, una sigaretta in bocca e una bottiglia di Martini rosso sottobraccio. Saranno ormai finiti i tempi in cui versava il suo Martini rosso nei bicchieri di cristallo e quasi per sottolinearlo aprirà la bottiglia e berrà da lì.
Avrà la barba lunga di una settimana e gli anni trascorsi in carcere si aggiungeranno ai suoi come un bonus. Come vissuti da qualcun altro e poi sommati ai suoi.
-Perché sei venuta?-
-Pensavo che ti facesse piacere vedermi. Non... non cambia nulla su... sul nostro rapporto. Ma ho pensato che...-, verrà interrotta dalla risata di Bruno.
-E' strano, sai? Non ho pensato che volessi tornare con me. Non ora. L'ho sognato tanto, in tutti questi anni. Non avevo nient'altro a cui pensare perché ho dato a te tutta la mia giovinezza e quando sono entrato in galera non avevo punti di riferimento. Eri tu il mio mondo. Io vivevo attorno a te. Le mia vita era costruita attorno alla tua. Bruno esisteva perché tu esistevi.-
-Non potevamo andare avanti, Bruno.-
-Non sei cambiata affatto, sai? Io invece...-, gli verranno le lacrime agli occhi e non avrà nessuna vergogna di farsi vedere da lei, -io sono un altro uomo. Sai cosa ho fatto in tutto questo tempo? Ho pensato. E sai cosa? Sono arrivato a tutte le conclusioni possibili di ogni possibile problema.-
-Mi dispiace...-
-Ho concluso che non ti ucciderò. Che prenderò per il culo i ciccioni, gli storpi e ogni genere di differenza che noterò nelle persone. Scoperò come un maiale usando il profilattico sopratutto con mia moglie. Infatti mi sposerò e adotterò una miriade di bastardi per farli crescere nel lusso. Li farò diventare dei gran figli di puttana. Si, farò questo. Grazie per quello che mi hai insegnato, Francesca.-
Andrà via senza salutarla. Francesca non capirà neanche questa volta. Vivrà la sua vita allontanando l'amore e lasciandosi coinvolgere da false storie. Se non fosse diventata eterna, a un certo punto, sarebbe morta lo stesso giorno in cui morirà Bruno, ma al contrario di Bruno, lei, sarebbe morta in solitudine. Nessuno avrebbe pianto per la sua morte. Vivrà, invece, in solitudine; inseguendo un amore inesistente.
Bruno, ormai sessantenne, incontrerà una donna che l'amerà fino alla fine dei suoi giorni. Non seguirà nessuno dei suoi propositi ma non potendo concepire più per via dell'età, adotterà davvero un bambino e lo chiamerà Abe, in memoria di sua madre, conosciuta da tutti come Signora Abelardi.
Abe, cieco dalla nascita ma con tanta voglia di vivere...

domenica 10 ottobre 2010

il collezionista #7.6

(per leggere i precedenti clicca sul titolo)


...Continua da #7.5
Capitolo 7
-Avverti in caserma che siamo sul posto.-
-Agli ordini marescià!-
-Appodia, fallo e basta! Io scendo a dare il primo soccorso.-
-Ehm... Brigadiere?... Siamo arrivati, si... Sette! Sette morti. Anzi, per il momento sei. E' un bel casino, quattro macchine! No, brigadiere, ancora non conosco la dinamica... No, no, ancora nessuna ambulanza. Ma... è stata avvertita?... Sarà, ma qui c'è solo l'omino che ci ha chiamati...-

-Maresciallo Pisu. Ci ha chiamati lei?-
-Si, io. Erano già... morti tutti. Beh, tranne lui. Spero di essere stato il primo a passare, perché sarebbe grave sapere che qualcuno... che non si sia fermato nessuno, insomma.-
-Bof! Non sarebbe la prima volta. Comunque, vedo che li ha estratti tutti dalle auto. Non avrebbe dovuto, sa'?
-Capisco... ma pensavo che ormai da morti... comunque quello della Renault bianca è rimasto dentro.-
-Vedo, vedo. Ma quello probabilmente non riusciranno a toglierlo intero neanche i Vigili del fuoco! A proposito, l'ambulanza?-
-Voi siete i primi, e ce ne avete impiegato di tempo...-
-Beh, ci ha chiamati mezz'ora fa, ci lasci arrivare, no?-
-Si, si, non volevo... Comunque non ho potuto far nulla neanche per il vecchio, se non farlo parlare per incoraggiare me stesso e per saperlo vivo. Non so se ho fatto bene.-
-Bof! A quanto ne so, parlare, non ha mai ucciso nessuno! E mi dica, ha parlato?-
-Maresciallo è da mezz'ora che farnetica! Ha raccontato la vita di una marea di gente. Penso... penso che abbia raccontato anche... la vita di questi poveretti morti!-
-Mmm... e di me? Ha detto nulla di me? Senta, lei è stanco. La ringrazio per quello che ha fatto. Ora vada dall'Appuntato e dia le sue generalità. Fra poco potrà andare a casa...-

-Buonasera, signore, mi sente? Sono il Maresciallo Pisu. Sa dirmi il suo nome?-
-Non lo ricordo, Maresciallo... Giulia, la sua compagna, grazie a lei sarà una donna felice. La sua storia è ancora tutta da scrivere, Romeo. Non si arrenda mai.-
-Conosco una signora Giulia ma... non è la mia compagna. E poi come fa a conoscere il mio nome? Non lo conosce nessuno da queste parti!-
-L'omino raggiunge il buon Appodia, il fido Appuntato del Maresciallo Pisu. Gli verrà chiesto di raccontare la dinamica dell'incidente ma non potrà farlo. Nessuno sa come sia andata veramente. Nessuno conosce tutti i dettagli. Il cane che taglia la strada alla Renault gialla che esce fuori strada; La Nissan che gli andava dietro e che scansandola ha invaso la corsia andando contro una vecchia Fiat che veniva nel senso opposto; La Renault bianca dietro la vecchia Fiat, che ha completato l'opera. Ognuno di loro conosce solo il pezzetto della propria morte. Nessuno conosce tutto il disegno. Nessuno tranne il cane... Quel povero cucciolo dalla vita difficile. La prego, dica a mia moglie...-
-Qualunque cosa, a patto che parli!-
-Le dica che non ho mai smesso di amarla. Che nonostante tutto ancora la amo. E' pur sempre una zoccola, ma non smetterò di amarla.-
-Non si preoccupi, glielo potrà dire di persona, questo.-
-Sto morendo. Sento freddo. I miei occhi... non ci vedo più.-
-Su, su, non faccia così...-
-L'omino era un collezionista. A dire il vero, uno strano collezionista. Per tutta la vita aveva conservato gelosamente insegnamenti. Non spiegazioni. Non resoconti o parabole. Neanche metafore. Collezionava cose, stralci di storie vissute, sogni e pensieri in fiala. Veri insegnamenti. E non importava se questi erano frutto di situazioni dolorose. La saggezza è il risultato di una faticosa equazione...-
-Bof! Mi sta spaventando, lo sa?-
-Uno di loro non si era accorto di nulla. Aveva continuato a vivere e così a influenzare, con la propria presenza, il corso degli eventi.-

sabato 9 ottobre 2010

me medesimo... non è gente


Una cosa sono le intenzioni e un'altra i comportamenti. Da almeno vent'anni (lo so, è pochino visto che ne ho quindici di più) ho capito di avere un oceano di difetti che spesso entrano in contrasto con chi, in qualche modo, interagisce con me. E' per questo motivo che cerco ogni giorno di essere una persona migliore. Ma questo lo credo per tutti. Cioè, per la proprietà transitiva, penso che se io faccio questo lavoro su me stesso, anche il resto del mondo lo faccia. Quantomeno concedo loro il beneficio del dubbio. Ma ancora non basta perché non sempre riesci a tradurre in azioni concrete le tue conquiste comportamentali (quelle intenzionali, appunto). E' una questione di allenamento.
Faccio un esempio: Da bambino non dicevo mai "per favore". Poi ho vissuto con i miei nonni per un lungo periodo e questo difetto è stato stroncato immediatamente. Oh si!
Altra cosa, non dicevo "buon appetito" o "buona notte".
Con il tempo ho capito che i miei genitori pensavano fossero cose superflue dentro un nucleo che si vede e vive insieme ogni giorno. Poi se ne può sempre parlare.
Mi hanno insegnato il rispetto. A prescindere. Quello vero e non di facciata. I miei vecchi sono sempre state persone molto concrete.
Resta comunque il fatto che quando esci fuori da quel nucleo di persone le cose cambiano. Vigono altre regole. Le regole base, anche perché chi non ti conosce davvero ha bisogno di una tua facciata presentabile, per interfacciarsi con te. Quindi poi ho imparato (da subito) che a casa dei miei avrei potuto fare l'asino, ma fuori no!

Tra l'altro ho sviluppato una strana fobia che ho chiamato "Avefobia". Forse proprio per via di ciò che ho appena detto.
Mi capitava di entrare in un negozio o in un qualunque luogo gremito di persone e di dire a voce alta e sopra pensiero "buon giorno". Alle otto di sera, però. Ma questo non mi pareva molto grave, anzi, dopo settimane di pippe mentali per stabilire se avessi fatto o meno una figuraccia mi rilasciavo sempre per insufficienza di prove. Già, sono diventato una sorta di poliziotto. Stavo sempre li a scrutarmi per capire quali fossero le figure di merda e in quali potevo essere rinviato a giudizio.
Nessun dubbio invece per la "buona sera" alle otto del mattino. Quante volte! 
Non riesco a concentrarmi, ecco tutto. Sto sempre li a farmi i cazzi miei e quindi non mi concentro.
E sbaglio pure quando saluto una persona sola: se dico Buon giorno mi rispondono ciao. Se do del lei mi danno tu. Dalle nostre parti tra l'altro si davano del voi fino a quindici anni fa, figuriamoci, e infatti le nuove generazioni hanno risolto tutti i problemi. Tu e ciao a tutti. E zitto, perché poi...
Anche io ho cominciato a dare del tu a chiunque, ma qualcuno ha deciso di mettermi in difficoltà così ora mi danno del lei. Non capisco se fanno sul serio o mi sfottono.

Questo per dire che comunque m'impegno nel migliorarmi. Credo in Cristo. Credo nella sua parola, dico. Nel fatto che ognuno di noi può essere migliore. Ci credo, in questo.
Non credo nella Chiesa, ma come darmi torto...
Con Dio, invece, ho un altro rapporto. Non m'interessa se esiste o meno. Lui faccia il suo, che io faccio il mio. E chi gli ha chiesto nulla poi. E comunque pare che non possa fare granché, lui, perché queste strade che ha costruito sono così tante che ci si perde quando cerca di percorrerle per venirci ad aiutare. Se avesse fatto qualche rotonda pure lui...
Succede comunque che a furia di bestemmiare mi capita sempre qualcosa. Sto cercando di capire se la questione ha basi scientifiche o è solo sfiga. Beh, non penso che con tutti i casini che ci sono in giro riesca a sentire solo la mia voce. Non solo. Dopo essere caduto nelle disgrazie più indicibili (magari ho perso gli occhiali da sole comprati dai cinesi) raddoppio le bestemmie e come per magia le cose si aggiustano. Attenzione, aggiustare non significa risolvere.
Venerdì scorso, per capirci, ho lavorato come un matto su Macchie d'Inchiostro. Non ricordo neppure cosa facevo. In realtà quello è un lavoro di mesi, e venerdì stavo facendo delle correzioni. E' stato un periodo di infinite bestemmie, è vero. Lo so, non è bello, ma è così. E anche su questo cerco di lavorare. Comunque salvo tutto e poi mi metto a letto sereno. La mattina successiva il PC non si è più acceso. L'Hard Disk ha tirato le cuoia e mi ha lasciato orfano di 400 giga di file. Lavori, scritti e foto, principalmente.
Ora, stabilire con precisione assoluta quante ne ho dette è impossibile. Si può fare una stima grossolana, ma sono certo che sarei molto lontano.
Secondo la Chiesa: 130.000 circa.
Secondo Me: appena un migliaio.
La cosa che posso stabilire invece è che a un certo punto le cose si sono aggiustate. Non ho risolto, perché dall'HD non posso recuperare nulla o quasi. Non nell'immediato comunque. Ma ho potuto ripristinare alcuni vecchi salvataggi tramite mail e da li ripartire. Non male, almeno per il problema Macchie d'Inchiostro, vista l'uscita imminente.
Ecco. Non è sfiga, ne sono sicuro. Non ci credo alla sfiga.
E non è neppure Dio che si diverte, impossibile. Se non altro perché se dovessi capire che esiste davvero e che non ho mai tifato per lui, allora si che avrei fatto una figura di merda. Quella si che sarebbe sfiga.

venerdì 8 ottobre 2010

il collezionista #7.5

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...Continua da #7.4
Capitolo 6
Stefano, ormai scrittore e poeta affermato, sarebbe andato a far visita ai carcerati della sua città.
Sarebbe stato un uomo di grande cultura e saggezza e proprio per questo motivo molto apprezzato da tutta la comunità. Di quella giornata Stefano avrebbe ricordato in particolare l'incontro con tre detenuti:
Il primo sarebbe stato un uomo a cui avrebbe raccontato di quel giorno imprecisato di un anno confuso ormai nel tempo e con il pene eretto tra le mani, quando confessò di avere un dubbio. L'avrebbe raccontato in modo poetico, come solo lui riusciva a fare, ma lo avrebbe fatto in modo mascolino e ammiccando, solo come si rivolge un uomo a un altro uomo.
La seconda sarebbe stata l'amica di Lili, incarcerata per l'omicidio del proprio fidanzato sorpreso durante un tradimento dopo undici anni di fidanzamento.
Il terzo detenuto sarebbe stato un uomo finito in galera per l'omicidio del proprio fidanzato, dopo aver scoperto che non si trattava d'altri che di una donna nei panni di uomo.
Nicola fra una settimana avrebbe incontrato una donna molto più grande di lui e se ne sarebbe innamorato. L'avrebbe vista scendere da un Mercedes CL Nuova generazione e le sarebbe andato incontro senza pensare alle conseguenze. Soltanto successivamente avrebbe notato nell'auto due bambini ma ancora una volta non avrebbe pensato a nient'altro se non a se stesso e alla sua passione.
Come in un sogno gli attimi si sarebbero susseguiti diventando situazioni più concrete. La donna si sarebbe lasciata sedurre per concedersi infine a Nicola che ormai avrebbe perso del tutto la testa. Finita la magia, il ragazzo, si sarebbe ritrovato con un pugno di mosche e avrebbe capito di essere stato usato alla luce del sole senza mai capirlo.
Francesco, dal canto suo, avrebbe raggiunto quel genere di immortalità a cui sono destinate le rock star. Sarebbe morto, sparato alla tempia, per mano del suo più grande fan.
In realtà, lo sceneggiatore di fumetti, raggiungerà comunque quel tipo di immortalità sopratutto grazie alla sua prematura morte.
Secondo un calcolo quantistico rapportato alla teoria dello spazio-tempo utilizzando (con conseguenti polemiche negli ambienti scientifici) la tecnica del teletrasporto quantistico, il Professor Abelardi (Premio Nobel per la Scienza, 2074), stabilirà che Francesco avrebbe potuto suicidarsi all'età di sedici anni al 92,4%. Anche in questo caso, secondo la sensazionale scoperta dello scienziato, il Poeta sarebbe entrato nell'olimpo dei talenti morti prima dei trent'anni scrivendo una pagina indelebile nella memoria collettiva umana.
Qualche anno dopo, il Prof. Abe, come amava chiamarlo suo padre adottivo, farà (comunque vadano le cose) una scoperta che avrebbe potuto cambiare la storia dell'umanità.

mercoledì 6 ottobre 2010

cronaca nera - dal romanzo al film

Quindici anni fa, circa, ho scritto questo romanzetto
Avevo sui vent'anni (anche se continuo a dire che ne avevo diciotto), al momento che l'ho finito e quindi è molto probabile che ho utilizzato parte di scritti precedenti... lo faccio spesso.
Poi l'ho riscritto e sistemato più volte. E' stato uno dei miei scritti che ha subito più modifiche in assoluto. E' stato come quando cerco di spiegarmi e vedo che non ci riesco e quindi ci riprovo. Il contenuto era sempre quello, la struttura idem, ma la forma cambiava o si modificava di volta in volta e le parole cambiavano anch'esse. Il finale l'ho riscritto ogni volta e ogni volta era superfluo.
Non è mai stato fatto un editing, comunque. E alcune ingenuità che vedevo inizialmente non le ho corrette. L'ho pure spedito in giro e qualche parolina buona l'ho pure ricevuta. Una proposta di contratto, se così si poteva chiamare, l'ho rifiutata.
Poi l'ho pubblicato in questo blog per togliermi uno sfizio e da li è partito un nuovo progetto. Ne parlavo spesso con Christiano Pahler, regista anche di Macchie e visto che anche i ragazzi dell'associazione lo conoscevano, abbiamo deciso di farne un film. Un altro piccolo passo nella sperimentazione di Chine Vaganti nel mondo del cinema.
Qualche anno fa ho cominciato a scrivere la sceneggiatura e non era così semplice. Venivo dalle sceneggiature dei fumetti, ma non era affatto la stessa cosa. In un fumetto la regia è mia anche se un buon disegnatore riesce a farla sua aggiungendo molto per la buona riuscita della storia. In un film la regia non è mia neanche per sogno!!! C'è un regista in carne e ossa e di certo non vuole ingerenze. Si può discutere, certo, ci si può confrontare, ma la regia è sua al 100%.
Quando ho capito questo, e l'ho capito da solo mentre scrivevo e mi rendevo conto che molte descrizioni erano inutili, ho cominciato a scrivere più spedito. Poi mi si è piantato il computer e ho perso tutto il lavoro.
Ero giù e non mi andava di ricominciare.
Alla fine ho ricominciato e l'ho scritta in apnea.
Le sceneggiature all'americana (quelle che ho visto) mancano quasi del tutto di descrizioni. Vanno spediti sui dialoghi e molti sono molto bravi a scriverli. Anche se molti altri vivacchiano su luoghi comuni e modi di dire di dialoghi ormai sempre uguali. Il cinema, si sa, si nutre di se stesso.
Io le mie descrizioni le ho scritte lo stesso, è stato più forte di me, ma mi sono sforzato di escludere i movimenti di camera e quando non l'ho fatto mi sono pure scusato con Christiano. Migliorerò con il tempo.
Il finale, come al solito, l'ho cambiato, ancora una volta mi sono reso conto che era superfluo. Quando poi l'abbiamo letta insieme (con il regista) lo abbiamo cambiato ancora una volta e quindi ho capito una cosa: per quanto mi riguarda il finale di questa storia è qualcosa in più e non aggiunge nulla al concetto. Quello che avevo da dire l'ho detto ampiamente, forse mai sono riuscito a dire tutto quello che volevo così esattamente. Quindi ben vengano tutte le idee per un finale coinvolgente e quello scritto con Christiano può dare effettivamente qualcosa in più in questo senso.
Pronti, via. Abbiamo cominciato le riprese la settimana scorsa e pare proprio che le cose procedono bene.

Quella a lato è una foto fatta sul set, dove Christiano e io "prepariamo" Daniele per la scena.
Non vedo l'ora di vederlo finito (il film!).

il collezionista #7.4

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...Continua da #7.3
Capitolo 4
-Che fa, hei... la prego, deve parlare!-
-Sono molto stanco...-
-Per favore, mi parli, ormai starà arrivando l'ambulanza... deve restare sveglio!-
-Com'è potuto accadere? E la macchina? l'avevo appena comprata... Mi dispiace.-
-Deve pensare alla sua famiglia, ora.-
-Dica a mia moglie...-
-Qualsiasi cosa, ma non smetta di parlare!-
-...Che è stata una grande zoccola!-
Capitolo 5
Lili sarebbe stata interrotta dalla voce di Lorenzo in uno dei suoi soliti comizi senza senso. Alex avrebbe cercato di trattenere la testa di lei contro il suo gonfio pene ormai saturo di piacere ma lei l'avrebbe sollevata richiamata alla realtà da quella voce tonante. Il ragazzo così avrebbe sentito un immenso dolore partire dai testicoli per arrivare fino al glande e avrebbe quasi urlato senza ritegno se il dolore si fosse protratto per un altro secondo ancora.
Lorenzo avrebbe semplicemente detto la sua, senza pretese, ancora una volta. Sarebbe capitato in quel parcheggio, come ogni giorno, e avrebbe puntato l'indice in aria a disegnare geometrie. Ci avrebbe spiegato tante cose, Lorenzo.
Lili avrebbe ripreso subito dopo, perché Lorenzo, dopotutto, non sarebbe stato così importante, ma per Alex, ormai, non sarebbe stata più la stessa cosa sentendo addosso un senso d'incompletezza. La ragazza, invece, avrebbe raggiunto l'orgasmo come sempre e per qualche ora sarebbe stata felice. Sarebbero andati a casa di un'altra coppia, infine, e durante la cena avrebbero guardato un film dove due carcerati evadono, rapiscono un bambino, si sparano e uno dei due per salvare il bambino si lascia uccidere da un manipolo di eroi.
Alla visione del film, Alex, si sarebbe sentito vivo. Lili si sarebbe sentita viva alla visione della patta dell'amico.
La coppia di amici riusciranno a portare avanti la loro storia d'amore per undici lunghissimi anni. Se Alex e Lili fossero arrivati in quella casa, invece, no. La loro storia d'amore  sarebbe durata appena qualche ora.
Rientrato a casa e scavalcato il cadavere di sua madre riverso nell'andito, Alex avrebbe guardato un film in TV, in cui un programmatore di videogames abbandonato da sua moglie scopre che il personaggio del suo gioco ha acquisito una coscienza e capisce di essere vivo. Il personaggio, allora, chiede al suo creatore di cancellarlo e così ucciderlo e nel momento in cui sta per dissolversi gli chiede: Abbiamo vinto noi?
Invece non ha vinto nessuno ed esisterà sempre qualcuno che giocherà con le nostre vite.

lunedì 4 ottobre 2010

il collezionista #7.3

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Continua da #7.2
Capitolo 3.
Posa il bicchiere sul tavolino, si accende una sigaretta, fa un bel tiro lungo e si sente già meglio. Ma la mente lo tradisce. Ritorna con il pensiero a quei corpi tra le lamiere. "Non potevo fare più nulla, ormai", continua a pensare cercando di convincersi di non aver sbagliato a proseguire senza soccorrerli.
Francesca lo guarda stupita perché non ha ancora aperto bocca.
-Stai bene?-
Paolo beve un altro sorso.
-Si che sto bene, non preoccuparti. È tutto a posto.-, dice.
-Cos'è quello?-, dice lei indicando un pacchetto sul tavolino.
Paolo ha fatto un regalo a Francesca ma è rimasto talmente scosso che ora ha scordato di darglielo.
-Tieni, è per te.-, poi trangugia altro J&B mentre nel locale è appena entrata una ragazza dai capelli rossi vaporosi e un vestitino nero che pare essere una seconda pelle.
-Non avevi smesso?-, ma non lo guarda perché è intenta ad aprire il pacchetto.
-Eh?-, risponde lui guardando la rossa.
-Quella roba che bevi. Non avevi smesso? L'avevi detto tu!-, sottolinea il "tu", guardandolo appena qualche secondo.
-Già. Ho smesso di bere pesante.-, dice distogliendo lo sguardo da quel corpo avvolto dal nero vestito.
-Non si direbbe però. Anzi, pare che ci provi gusto.-
-Sarà, ma non capisco che ti frega... neanche fossimo fidanzati.-, la guarda.
-No no, per carità. Facevo per dire.-
Paolo torna a guardare il bicchiere.
-Appunto, dicevo-, poi beve.
-Che roba è?-
-Lascia perdere va, dammelo che lo butto via!-
-Ma no, scemo, è carino. Ma non capisco...-
-Dovrebbe essere un gattino con la testa in ceramica e il corpo in stoffa. Ma fa schifo, hai ragione.-
-Lo vedo cos'è, solo che non capisco perché! Cosa ho fatto per meritarmi un regalo?-
-Assolutamente niente! Ma sai com'è, a volte sei li con qualche spicciolo in più e ti sorprendi a guardare una vetrina, poi pensi a una persona cara e la mandi a fanculo, così ne scegli un'altra a caso e le fai un bel regalo.-
-Ma lo sai che sei veramente insopportabile? Se credi che te lo restituisca ti sbagli di grosso. Ora me lo tengo!-
-Mah... È un pezzo di stoffa, l'avrei gettato via comunque.-
Poi trascorrono cinque interminabili secondi.
-Hm...-
-Mmm...-, risponde lui.
-Che stai facendo di bello? Sei sparito.-
-Ma nulla... in particolare nulla. Da che ho smesso con gli studi ho più tempo per scrivere. Qualche concorso, qualche rivista che non legge nessuno, qualche poesia per abbordare ragazze. Progetti infiniti... mai compiuti. Tu? Quanti esami, ancora?-
-Undici...-
-Cooosaa?-
-Lo so, lo so. Ancora undici, lo so. Ma che ci posso fare? Da quando hai lasciato la facoltà non riesco a fare più nulla.-
-Che fai sfotti? Anzi... vuoi vedere che le cose stanno proprio così?-
-Sogna! No, non ho più voglia, tutto qui. Mi piacerebbe fare la parrucchiera.-
-Oh no! Tu sei tutta matta. Io facevo fatica. Dovevo studiare davvero, per starti dietro. Ma tu?-
-Ma io cosa, che da quando avevo sei anni non sollevo il naso dai libri! C'è dell'altro, cavolini... E se ora morissi? Dimmi cosa ho fatto nel mentre...-
-Cavolini?... va be'. Mi pigli per il culo, comunque. Queste cose le dico io, solitamente, non tu. Ricordati una cosa: se c'è uno che pensa alla vita e alla morte, se c'è uno che mostra sensibilità, se c'è uno di questo tipo, qua dentro, quello sono io. Ricordalo. Tu sei una donna!-

resto mancia n°1

Senza Hard Disk (e per separare gli episodi de "Il collezionista") mi limito a segnalare Resto Mancia n°1, la rivista delle nuove leve di Chine Vaganti. Buona lettura.


sabato 2 ottobre 2010

il collezionista #7.2

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... Continua da #7.1
In una frazione di secondo, Stefano, si sentì risucchiare da una forza innaturale, aliena. Qualcosa che non aveva mai sperimentato prima. Si sentì come aspirato da un'immensa aspirapolvere. Doveva essere qualcosa di mastodontico perché sollevare un corpo di quelle dimensioni non era certo un'impresa da poco. Si era sentito asportare dalla macchina per finire con la testa contro il cristallo. La botta gli fece perdere coscienza così non vide mai il suo corpo sgonfiarsi, bucato dai vetri, e finalmente dimagrire.
Forse una nuvola passeggera, chissà, animata da un nuovo istinto funzionale, o forse... forse allora esiste. Forse Dio ha finalmente deciso di fare le grandi pulizie e con l'aspirapolvere succhiare via dalla faccia della terra tutte quelle persone che come lui non possono godersi la vita. Una vita per pochi, che non lascia scampo a chi resta troppo tempo a rifletterci sopra. Una vita che ti raggiunge e che inevitabilmente finisce per superarti.
Un giorno imprecisato di un anno confuso ormai nel tempo e con il pene eretto tra le mani, Stefano, confessò di avere un dubbio.
-Un dubbio?-, rispose lei tra lo stupore e la noia.
-Qualcosa che ancora non capisco nonostante mi sforzi. Oh, ma tu pensavi... no, non intendevo questo... quello che stiamo facendo. È una cosa che non c'entra nulla con... il sesso-, stava per dire "amore", ma non se la sentiva.
-Questa è meglio che non la racconti alle mie amiche e sarebbe meglio che non la raccontassi neanche tu. Io credevo che dovessimo scopare!-
-Noooo... cioè si! ma volevo dire... chiederti, insomma: secondo te che cosa vuol dire "Per tutta la vita?"-
-Oh mammina, questo è tutto scemo. Sei sicuro di star bene? Cosa vuoi che ne sappia, ora?... e va bene. Significa per sempre. Contento? Possiamo proseguire, considerando il fatto che il tuo coso si è stancato di sentirti e se la sta battendo in ritirata?-
-Vedi? Anch'io pensavo così. E per sempre è infinito, è uno spazio nel tempo che ha un inizio ma che non trova una fine. Ora mi sai dire quanto è lunga una vita?-, chiese, mentre il suo pene aveva ormai perso tutto il vigore originario.
-È incredibile, tutto questo non sta accadendo proprio a me!-
-Dai fammi felice...-
-Tu mi prendi per i fondelli! Mi dici poi come faccio a rispondere a queste cose? Lo capisci che non hanno senso? Non c'è una misura, la vita è vita finché sei vivo, dopo, devi sapere, sei morto e quella è una situazione che non puoi chiamare vita. Anche volendo non lo puoi più fare, ok?-
-Vedi? Siamo ancora d'accordo. Non si può misurare la vita perché non esiste un'unità di misura standard per farlo. Non è che pensi alla vita e subito sai quanto è lunga. È per questo che mi chiedo il perché si usino frasi come queste, come fosse niente. Ti pare molto lunga una vita? Se ti dice bene campi sessant'anni e noi continuiamo a pensare che sia per sempre-
-Tutta la vita per te. Tutta la tua vita-, disse lei, ormai rassegnata.
-Ma questo non lo specifica mai nessuno. Chi te lo spiega? Cosa vuoi che ne sappia, un bambino, che può essere domani?-
-Senti, non offenderti, s'è fatto tardi e ciò vuol dire che non si scopa e che devi portarmi immediatamente a casa. E un'altra cosa, non provare a cercarmi più. Questo lo capisci anche se non te lo spiega nessuno, no?-
-Ma scusa, dico solo che le parole sono importanti! E invece è tutto falso, tutta una bugia!-
Nicola era l'ultima vittima dell'incidente stradale. Aveva un anno più di Stefano ma sembrava suo padre. Era il suo unico amico e Stefano gliene era grato. Nicola gli offriva le uniche emozioni e anche quel giorno, la gita in città era opera sua. Lo aveva trascinato via di casa, lontano dai suoi libri e dalla sua Olivetti.
Quando Francesco li vide per strada pensò di caricarli in macchina perché sembravano proprio delle brave persone.
Nicola aveva visto il cane attraversare la strada alla Renault gialla, la stessa auto gialla sbandare e perdere il controllo per finire fuori carreggiata e la Nissan scansare la Renault gialla e lo stesso cane per invadere la loro corsia. L'aveva vista venirgli incontro ma non si rese conto di ciò che stava avvenendo. Ci siamo abituati, oramai. Pensiamo che comunque vada riuscirà a riprendere il controllo. E andrà sempre così, finché staremo qui a raccontarlo. Il suo ultimo pensiero fu rivolto al cane. "Per fortuna si è salvato", pensò.
Lui, invece, moriva.

gli automobilisti... non è gente

Ciò che m'interessa, fondamentalmente, è farmi capire.
A volte sto li delle ore per cercare di ribadire un concetto espresso ma non sempre riesco a farmi comprendere, così non ci dormo la notte perché tutte le parole usate mi ritornano indietro come un boomerang.
Ok, spesso pure io sono difficile, lo ammetto, ma altrettanto sovente mi pare di parlare con pareti insonorizzate e questo mi fa pure più rabbia.
In auto no.
In auto non me ne frega un cazzo di farmi capire. Non ne ho proprio voglia di star li a spiegarmi. Non voglio proprio discutere, in auto.
Sono in totale relax, quando guido. Sigaretta sulla sinistra che tiene il volante. Destra sulle marce che prima e seconda e (forse) terza non me le toglie nessuno.
Salgo in auto e mi faccio i cazzi miei. Sto li a ragionare e guardare la strada che non vedo proprio nessuno. "Salutare no?" "Eh?" "Dico di salutare quando passi in macchina!", classico.
A volte però accadono delle cose che mi lasciano basito. Situazioni arcane che nonostante capitino ogni due chilometri, non riesco mai a decifrare. Storie ai confini della realtà. Svolti e ti ritrovi una macchina parcheggiata proprio li, a neanche un metro dall'incrocio; sei sulla statale a pieno gas e appare dal nulla una scatola di cartone enorme perfettamente chiusa. "Sarà mica piena?" Vabbè, la eviteresti sempre e comunque; Torni a casa (vivi in un vicolo) e ti ritrovi un'auto parcheggiata proprio davanti al tuo portone. Dopo due ore scopri che qualcuno ha fatto visita al vicino...
Immagino che queste cose accadano soltanto a me nell'universo. Forse solo sul pianeta Nibiru c'è qualcun altro che...

Durante gli anni trascorsi a guidare -e si può discutere all'infinito ma l'esperienza è tutto- ho imparato alcune cose fondamentali che nessuno ti insegna. E infatti pochi imparano.
Indicatore di direzione.
Sulla statale vedo tantissimi che a metà sorpasso azionano la freccia e poi la tengono per sempre. Non la levano mai più. Gli indiani a loro fanno un baffo. Solitamente si disattiva dopo uno scontro con un autocingolato che non riesce proprio a capire cosa diavolo vuol fare che ha la freccia da quando è nato.
Gli indicatori di direzione (o frecce), come dice la parola stessa, indicano agli altri cosa stai per fare. Se decidi di sorpassare, azioni la freccia indicando che stai facendo un movimento laterale e poi sorpassi mentre la disattivi (solitamente si disattiva in autonomia). Se stai poi sulla corsia di sorpasso, a sorpassare ventuno macchine, ha poco senso tenerla azionata. GLI INDICATORI DI DIREZIONE NON DICONO: STO SORPASSANDO. No.
Oppure. Sono su una strada secondaria e davanti a me un'auto che va nella mia stessa direzione. Aziono l'indicatore di destra per svoltare e lui lo stesso. La curva è lunga e io disattivo la freccia. Lui no. Arriviamo alla fine e attendiamo di immetterci nella nuova strada. Lui ha ancora la freccia che urla. Dobbiamo fare un movimento a sinistra e lui tiene ancora l'indicatore destro. Perenne. Ora: io so già cosa devi fare, perché abbiam fatto lo stesso percorso e perché non puoi fare altro. Per chi è quella freccia, quindi? Chi arriva a 325 orari sulla corsia dove dobbiamo immetterci, non la vedrà mai quella maledetta freccia. Spegnila, ti prego. Chiedi semmai che ti lascino un po' di spazio per passare entrambi, no? Basta azionare quella di sinistra e magicamente (oddio, non sempre) sfrecciano a 328 orari sulla corsia di sorpasso così tu puoi immetterti entro oggi.

Ma l'apice lo raggiunge chi durante il suo viaggio (da casa al bar tabacchi) trova 1846 auto parcheggiate sulla destra in una strada larga 70 cm e mi vede arrivare... Mi vede da lontano. Sono già a metà e vedo la luce di quel maledetto tunnel ma lui decide comunque di avventurarsi nella foresta d'asfalto.
La storia della destra vale per tutte le situazioni, in auto, non è un proverbio antico. Se tu hai la corsia di destra occupata e mi vedi arrivare (perché la mia corsia è libera) devi lasciarmi passare, tanto più che oramai mi mancano due metri a terminare l'operazione. Cosa ti vai a infilare, se non riesci a parcheggiare in uno spazio di quattro metri per quattro? E quando arrivano proprio di fronte mi guardano perplessi: "e mo'?" "Ho capito, va, non oso immaginarti fare retromarcia. Per carità, non voglio averti sulla coscienza. Faccio io", e torno indietro per farlo passare. E lui passa senza neanche guardarti. "Ringrazia, no?".
Ma non ne ho voglia di discutere, quando sono in auto. Bestemmio sottovoce, forse, ma dimentico subito tutto e torno a farmi i cazzi miei proprio nel momento in cui il mio amico, a piedi, mi saluta. 
Giuro, non l'ho proprio visto.

venerdì 1 ottobre 2010

il collezionista #7.1

Un dattiloscritto senza titolo:
Capitolo 2.
Nella terza auto, una vecchia fiat, si trovavano tre passeggeri. Francesco era al volante e proprio per questo fu l'unico a percepire l'imminente morte. Il suo ultimo pensiero fu "Eccola, finalmente". La stava aspettando già da tempo nonostante avesse raggiunto appena il ventinovesimo anno di età.
Era uno scrittore, Francesco, uno dei tanti in verità, ma pochi avevano il suo talento. La sua carriera cominciò fulminea a sedici anni, vincendo un concorso letterario che lo aveva portato a pubblicare il suo primo libro, La sua vena creativa lo spinse a scrivere altri tre romanzi, l'ultimo all'età di diciannove anni, che nessuno però volle pubblicare. Cominciò a pensare di non essere così bravo come gli avevano fatto credere e smise di scrivere.
Gli editori si erano arrogati il diritto di decidere che il pubblico non fosse pronto per leggerli. Avevano appena ucciso uno scrittore.
Francesco si dedicò al fumetto, dove poté denunciare questa e altre forme d'ingiustizia, diventando così un grande fumettaro. I critici lo osannavano ma perse molto, tuttavia, della spensieratezza del giovane scrittore, divenendo schivo e relegandosi in casa a consumarsi nel suo dolore. Straziato come uno dei suoi tanti personaggi, la solitudine gli aprì la mente e la strada dell'eccessiva attività cerebrale lo aveva portato alla saggezza, per dirla con William Blake.
Quel giorno aveva deciso d'interrompere la sua tortura ripristinando i contatti con il mondo, consapevole che dalla vita non poteva aspettarsi nient'altro che la fine. Solo quella.
La Nissan che gli veniva incontro pareva avvolta da un manto nero che la faceva apparire come una dolce nonna a braccia protese. "Vieni piccolo mio, saprai la verità", sembrava dire. Poi lo schianto, un rumore sordo e il frantumarsi del cristallo anteriore. Francesco morì con uno strano sorriso sulle labbra, "Eccola, Finalmente!". La morte era arrivata.
Stefano aveva trascorso gran parte del viaggio a parlare con Nicola, che sedeva sul sedile posteriore. In quel momento stava girandosi per far riposare il collo e i pensieri trasportati alla velocità della luce dall'hashish appena consumato gli facevano giurare di cominciare una lunga e rigida dieta. Era necessaria, che diamine. Una fantastica notte fra canne e alcool, seduto in un piccolo night colmo di ragazze che aspettano solo d'essere possedute e poi a casa per una sana dormita. Poi la dieta. 
In una frazione di secondo, Stefano, si sentì risucchiare da una forza innaturale, aliena. Qualcosa che non aveva mai sperimentato prima...