lunedì 16 febbraio 2009

g.i.o.c.

Nel 1945 la città di Cagliari è distrutta dalla guerra. La gente del quartiere di Stampace crede che l'unico modo di ricominciare a vivere è stare uniti così viene fondata la G.I.O.C. (Gioventù Italiana Operaia Cattolica) che tra le tante attività riscopre e organizza il carnevale cagliaritano riportando in vita maschere dimenticate, espressioni della cultura cagliaritana. Appoggiata dalla Curia ottiene la concessione della chiesa di Santa Restituta come centro di aggregazione sociale fino al 2008 quando si trova improvvisamente e inspiegabilmente a dover restituire lo spazio senza che gli venga offerta nessuna alternativa. 
La regista Marina Anedda ci catapulta senza preamboli sulla realtà dei fatti, offrendoci una soggettiva cruda. Diveniamo i suoi occhi e lei il nostro spirito di osservazione e la nostra coscienza. E mentre la chiesa viene smembrata e privata della sua recente storia dagli stessi appartenenti al movimento, con ordine e devozione, i nostri occhi si soffermano sull'ordine di sequestro preventivo affisso alla porta. "Ministero per i Beni e le Attività Culturali", leggiamo. E ancora "Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale". Tutela, ripete la nostra coscienza. Mentre ancora ci facciamo mille domande, il colpo di scena arriva improvviso, opera di uno sceneggiatore cinico: anche il Cristo viene cacciato dalla sua dimora e lo perdiamo di vista mentre attraversa le strade dove in luogo dei fedeli trova solo fredde macchine parcheggiate. La regista si limita a mostrarci ciò che accade, preoccupandosi che non ci sfugga nulla.
Poi un lungo flashback che ci mostra il carnevale del 2005. Bambini, ragazze e uomini di ogni età dapprima s'incontrano per poi organizzarsi fino all'esplosione finale di tamburi che segna l'inizio della vestizione. Tutti danno una mano, c'è chi trucca, chi sceglie o consiglia gli abiti e chi comincia il lungo processo verso la trasformazione in maschera.
Quando tutto è pronto uno dei fedeli guida un'accorata preghiera prima della trionfale attraversata del portone che immette il corteo direttamente alla strada dove la gente del luogo attende con gioia.
L'ultimo carnevale brucia e con lui bruciano i ricordi di una tradizione che voleva dire rinascita e fratellanza. Nel quartiere si ha la sensazione di aver perso un parente stretto, qualcuno che al bisogno è sempre pronto a offrire quel poco che possiede, in perfetta sintonia con la tradizione sarda.

G.I.O.C. (Gioventù Italiana Operaia Cattolica)
di Marina Anedda
Documentario, 34'

2 commenti:

Daniele Mocci ha detto...

Ma poi la cosa è morta definitivamente o c'è qualche remota possibilità che rinasca?

Certo che comunque resta il dramma (tipico di questi ultimi decenni di buio e cecità totale nei confronti dell'associazionismo e delle aggregazioni sociali, culturali e ricreative) degli spazi "di vita" che si chiudono progressivamente e inesorabilmente, uccidendo tutte le iniziative "di aggregazione" a vantaggio della chiusura di ognuno nelle proprie case.

In compenso siamo sempre più "protetti" e circondati di tv al plasma con impianti audio da discoteca, reti televisive che trasmettono mille ore su ventiquattro, cellulari, videogames, navigatori satellitari che ci servono per arrivare al cesso senza perderci e altre simili meraviglie della tecnica che, pian piano, stanno eliminando dall'uomo la più remota traccia di umanità.

Che figata!

marcello ha detto...

Beh, devo dirti che il discorso pare molto più complicato di come lo possiamo immaginare. Questo docu ha semplicemente scoperchiato un calderone pronto a esplodere. Il G.I.O.C per qualcuno era "davvero" un parente, immagina che veniva frequentato anche da chi non era socio. Faceva parte del quartiere. E questo è uno dei punti che si dibattono all'interno dello stesso organismo. Poi ci sono "le colpe" che vengono attribuite da una parte e dall'altra, il poco interesse dimostrato dalla Curia (e il presidente era un sacerdote) e forse dagli Enti. In realtà non conosco la vicenda, quello che ho appreso viene dalle parole dei presenti alla proiezione (dopo c'è stato un piccolo dibattito). Pare che qualcuno, in difesa del centro di aggregazione, abbia spedito a un quotidiano locale alcune lettere (poi pubblicate) e dopo aver preso atto che dall'altra parte non c'era comunque nessuna risposta, il quotidiano ha poi chiuso lo spazio. La questione è complessa ma comunque non c'è spazio per un dialogo.

Sai benissimo che il problema degli spazi è un problema serio. Una piccola associazione produce comunque del materiale e se non ha un suo spazio collassa per forza. Ma non preoccuparti ognuno avrà pure una TV a casa no? Che poi qua in Sardegna si sono dati pure la mazzata sui maroni visto che il digitale NON FUNZIONA!!! La gente ormai, fortunatamente, usa quasi esclusivamente internet.